Il PCF durante e dopo la campagna del "no" al referendum sul progetto di Costituzione europea

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Il PCF durante e dopo la campagna del \"no\" al referendum sul progetto di Costituzione europea
Luglio 2005

(da "Lutte de Classe n 89 - estate 2005)

Impegnandosi nella campagna referendaria prima degli altri, prendendo la testa del "no di sinistra" al referendum sul progetto di Costituzione europea, il Partito comunista aveva come obiettivo di ristabilirsi sul piano elettorale. È stato aiutato dalla scelta della direzione del Partito socialista a favore del "sì". La direzione dei Verdi aveva fatto la stessa scelta ed il Partito comunista era il solo grande Partito dell'ex Unione della sinistra a far votare "no".

La campagna per il "no" gli ha permesso di affermare, su un terreno limitato, la sua specificità nei confronti del Partito socialista. Ha scelto di giocare un ruolo federante invitando nei suoi comizi i portavoce della minoranza del Partito socialista sostenitrice del "no", i rappresentanti della LCR, della corrente altermondialista e di associazioni diverse. Ha fatto il gesto simbolico di cedere una parte del suo tempo di parola nei mass media ad alcuni dei loro rappresentanti.

La vittoria massiccia del "no" appare, in queste condizioni, come un successo del Partito comunista e sembra essere risentita come tale dai suoi militanti, compresi quelli delle correnti più o meno contestatarie della direzione di Marie-George Buffet.

In che misura il Partito comunista capitalizzerà la sua campagna sul piano elettorale ? Bisognerà aspettare le elezioni, che si svolgeranno solo tra due anni, per saperlo.

L'obiettivo del Partito comunista non sono le elezioni presidenziali, benché sia probabile che presenterà al primo turno un suo candidato (o candidata). È quanto affermano, per il momento in ogni caso, i suoi dirigenti. Ma, all'elezione presidenziale è probabile che il riflesso di "voto utile" giochi contro di lui nell'elettorato di sinistra, marcato dal primo turno delle presidenziali del 2002, e annulli i benefici della campagna referendaria.

Ma nello stesso anno ci saranno le elezioni legislative così come, nella metà dei cantoni, le elezioni provinciali e, qualche mese dopo, le comunali.

Durante i prossimi mesi, il Partito comunista ha interesse a rimanere sulla stessa linea, vale a dire cercare di apparire in modo indipendente dal Partito socialista, oppure in competizione con lui, con un linguaggio più radicale, almeno sotto la forma di un'opposizione affermata al "liberalismo". È quanto emerge dalle prese di posizione di prima e dopo il suo ultimo Consiglio nazionale svoltosi dal 10 al 12 giugno 2005. L'Humanité del venerdì 10 giugno, in un articolo consacrato alla preparazione del Consiglio nazionale, afferma nel sottotitolo che: "confortato dal referendum e in una nuova dinamica, il PC si ritrova di fronte alla sua ambizione di rivoluzionare la sinistra". Precisa in seguito: "per il referendum, questa strategia del PC che agisce in modo autonomo insieme ad altri, mettendo la sua azione al servizio di un largo raggruppamento, è stata applicata dappertutto, con qualche sfumatura. È poco probabile che la direzione del PCF operi una svolta".

Nel Consiglio nazionale, Marie-George Buffet ha preso il lusso di ammonire la direzione del Partito socialista, scossa dalla sconfitta del "sì", per proporle la "costruzione unitaria di un'alternativa antiliberale". D'altra parte, il Partito comunista moltiplica le riunioni - come quella del ginnasio Japy a Parigi, qualche giorno dopo il referendum -, destinate a mantenere intorno a sé la tendenza militante che l'ha accompagnato durante la campagna del "no", costituita da altermondialisti, da associazioni politicizzate, dai sostenitori di José Bové, fino alla LCR.

Che il Partito comunista per il momento non cerchi di allinearsi dietro al Partito socialista, sembra naturale. Dietro chi allinearsi, d'altronde? Dietro Fabius che certo ha preso posizione per il "no" ma che non dirige il partito (almeno per il momento)? Dietro Hollande e Strauss-Khan che hanno altre preoccupazioni fino al congresso? Politicamente il Partito comunista ha interesse a rafforzare le proprie posizioni per migliorare in suo favore il rapporto di forze nei confronti del Partito socialista.

Poiché la prospettiva politica resta la negoziazione col Partito socialista per arrivare, al minimo, ad un accordo per le politiche del 2007, e di più se ci sono affinità... o possibilità.

Il Partito comunista non lo nasconde e continua ad affermare che è - sempre secondo L'Humanité del 10 giugno - "opposto ad una strategia di unione alla sinistra della sinistra o di costituzione di un polo di radicalità". No, "la direzione del PCF vuole continuare a rivoluzionare la sinistra".

"Rivoluzionare la sinistra" echeggia in modo radicale ma è solo una maniera di sbattere la porta sulle dita di tutti quelli, in particolare della LCR, che sognano una "sinistra della sinistra", che, senza l'apporto del Partito comunista e del suo peso militante, non può che a rimanere un'espressione vuota.

La prima questione è "quella del programma", afferma L'Humanité. Bene. Ma precisa subito che "il PCF ha bisogno di mettere in dibattito proposizioni credibili e mobilitatrici mostrando nelle sue scelte concrete, e non solo coi discorsi, che ha rotto con le sue concezioni centralizzatrici e produttivistiche. Per quanto seducente, il punto nodale del progetto comunista, un sistema di sicurezza del posto di lavoro e della formazione, finora non è riuscito a mobilitare".

In altri termini, per rompere con "le concezioni centralizzatrici", il Partito comunista non propone alcun programma. Si accontenterà di dibattiti nel quadro di forum per continuare l'attività dei comitati per il "no di sinistra".

Data la composizione di questi comitati, ciò dà luogo a discussioni che, col pretesto del nuovo corso democratico, forniranno al Partito comunista una scusa per non impegnarsi su alcunché, aspettando il giorno in cui cominceranno i negoziati seri col Partito socialista.

Sì, una proposizione concreta c'è : all'ultimo Consiglio nazionale, il Partito comunista ha annunciato - per citare l'espressione de L'Humanité del 13 giugno - "il varo di una petizione che potrebbe essere ripresa da altre forze in Europa con l'obiettivo di raccogliere un milione di firme. La petizione esige innanzitutto che il presidente della Repubblica, rispettando il verdetto popolare, ritiri la firma della Francia, che l'Unione europea intavoli un negoziato sulla sua politica economica e sociale e sulle sue istituzioni e che i popoli siano associati a questa discussione e consultati".

Esigere da Chirac il "rispetto del verdetto popolare" ? Ma Chirac non ha promesso niente ! Sono il Partito comunista ed i suoi compagni di strada che hanno promesso che la vittoria del "no" avrebbe cambiato i rapporti di forza e "costringerà" Chirac a tener conto del voto popolare.

Il Partito comunista ha approfittato di quelli che gli hanno accordato la fiducia. E continua a farlo facendogli credere all'efficacia di una petizione.

Che la "Francia ritiri la sua firma" potrebbe essere un obiettivo di mobilitazione ? Potrebbe essere un obiettivo che permetta al mondo del lavoro di resistere all'attacco del padronato e del governo ? Questa maniera di "rivoluzionare la sinistra" non ha di che spaventare la direzione del Partito socialista, sia che Hollande e Strauss-Kahn restino alla sua testa, o che il congresso di novembre ci metta Fabius.

Conviene osservare che, anche se su scala ben più piccola, la politica della LCR è politicamente il ricalco di quella del Partito comunista. Così come L'Humanité, Rouge strilla alla crisi di regime, canta vittoria, denuncia "l'illegittimità di Chirac" e si felicita, in un articolo di Krivine, "della dinamica unitaria dei collettivi, l'entusiasmo dei comizi e la vittoria elettorale" che "hanno convalidato il tipo di convergenza operato nell'appello dei duecento". E aggiunge, questa volta sotto la piuma di Piquet : " con-ti-nua-re! Questa è la prima - ed unanime - conclusione che le forze del collettivo per un "no" di sinistra hanno tirato dal risultato del referendum del 29 maggio". E per fare più radicale del Partito comunista, "la LCR rivendica la partenza del nuovo governo che è illegittimo. Propone alle forze coinvolte nell'appello dei duecento di organizzare una petizione di un milione di firme per sciogliere l'Assemblea nazionale".

Come far partire "Chirac l'illegittimo" (prima del 2007 si può immaginare, poiché, dopo, partirà in ogni modo) ? In che modo, d'altronde, la sua partenza costituirà un'avanzata per i lavoratori se sarà sostituito da Sarkozy ? Queste domande non fermano la LCR. Così come non la ferma il fatto di sapere a chi, diamine, potrebbe servire lo scioglimento dell'Assemblea nazionale, e le elezioni legislative anticipate che ciò provocherebbe ?

Dare la maggioranza ad una nuova edizione dell'Unione delle sinistre ? Non è neanche sicuro. E per far cosa ? "In questa situazione, la LCR proporrà a tutti i suoi interlocutori coinvolti nei comitati, un candidato unitario intorno ad un programma di emergenza, in rottura netta con tutte le logiche capitaliste liberali".

Sapendo ciò nonostante che la LCR non ha la forza per imporre tutto ciò, l'articolo completa indirizzandosi "specificamente al PCF: tra l'affermazione di una sinistra anticapitalista sulla scia della campagna del "no" e la riconciliazione delle organizzazioni che hanno difeso il "sì" ed il "no", la scelta è inevitabile". Il Partito comunista ha risposto in anticipo e seccamente a quest'avvertimento. Vuole l'alleanza con il Partito socialista, e non una "sinistra della sinistra", anche se l'espressione della LCR che parla di "rottura netta con tutte le logiche capitaliste liberali" non scomoda per niente la direzione del Partito comunista, tanto quest'espressione è vaga nonostante la sua apparenza radicale.

Ma lasciamo la LCR al suo ennesimo tentativo di trovare alleati alla sua destra. Spento l'entusiasmo della campagna del "no", la LCR sarà confrontata alla stessa realtà come ogni volta che si è impegnata in questo tipo di politica - com'è successo ben spesso in passato -, vale a dire essere sdegnosamente respinta dall'alleato desiderato.

Ma la campagna del "no" ha mostrato che il Partito comunista, da solo, dispone di forze militanti importanti, che resta, malgrado il suo continuo arretramento, il più importante tra quelli che, in un modo o in un altro, si rivendicano della classe operaia.

Le sue forze militanti, in primo luogo nelle imprese, che sono influenti e addirittura determinanti in numerosi sindacati, potrebbero giocare un ruolo considerevole per ridare fiducia ai lavoratori nella loro forza e nelle possibilità della lotta. Ma sarebbe necessario che militino intorno a rivendicazioni che corrispondano realmente agli interessi dei lavoratori. Sarebbe necessario che portino in avanti obiettivi che rispondano alla situazione della classe operaia : innanzitutto, porre fine alla disoccupazione ed alla precarietà imponendo ai padroni la ripartizione del lavoro tra tutti; imporre un aumento dei salari.

Tra gli obiettivi, ci sarebbe anche quello di costringere il governo, qualunque esso sia, ad abolire tutte le misure reazionarie prese nel corso degli ultimi anni da Raffarin, ma anche da Jospin.

Tutti quelli che hanno partecipato alla campagna del "no", anche di sinistra, non stanno necessariamente dalla parte della classe operaia, anche se si ritrovano facilmente in espressioni vaghe del tipo "lotta antiliberale" o "contro il capitalismo liberale" (come se ci fosse un buon capitalismo!). Ma, appunto, avanzare obiettivi vitali per i lavoratori è un buon modo per fare questa selezione.

In ogni caso, la sola unità che valga, è quella : il raggruppamento di tutti quanti, militanti della classe operaia, che si ritrovano intorno agli obiettivi vitali per la sorte dei lavoratori e sono pronti a militare per tali obiettivi.

Ci vorranno molti sforzi, non solo per popolarizzarli, ma soprattutto affinché i lavoratori ne facciano gli obiettivi delle loro lotte, ritrovando fiducia in se stessi. E la sola propaganda dei militanti non basterà. E' precisamente attraverso lotte limitate, parziali ma vittoriose, che la fiducia tornerà, a condizione che ci siano militanti per mostrare, con quanto dicono così come con quanto fanno, che il rapporto di forze decisivo si stabilisce su scala dell'insieme delle classi sociali, e non al livello di una corporazione o di un'impresa.

Il resto non è altro che diversivi, non solo inutili ma nocivi perché nascondono i veri problemi, anche quando sono ridicoli come la petizione lanciata dal Partito comunista.

16 giugno 2005