Germania : dopo sei anni di governo socialdemocratico, un bilancio disastroso per i lavoratori

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GERMANIA : dopo sei anni di governo socialdemocratico, un bilancio disastroso per i lavoratori (da "Lutte de Classe" #83 - settembre 2004)
29 settembre 2004

Gli attacchi contro le condizioni di vita delle classi popolari, che continuano a moltiplicarsi in Germania, certo non sono recenti e sono cominciate quando Helmut Kohl era cancelliere, tra il 1982 e il 1998. Ma si sono particolarmente ampliate dopo la rielezione del cancelliere socialdemocratico Gerhard Scroeder nel settembre 2002.

Una raffica di attacchi governativi

Già abbastanza discreditato alla fine del suo primo mandato, Gerhard Scroeder è rimasto alla cancelleria solo grazie al fatto di essersi dichiarato, nel corso della campagna elettorale, contro l'utilizzo dell'esercito tedesco accanto a quello degli Stati-Uniti che preparavano in quel momento l'invasione militare dell'Iraq. Ma non appena rieletto, ha iniziato una serie di "riforme" che rappresentano altrettanti attacchi contro il mondo del lavoro.

Il suo programma, esposto al parlamento nel marzo 2003 e presentato col nome di "agenda 2010", consiste, col pretesto che non ci sarebbero più fondi nelle casse, in una rimessa in discussione senza precedenti del sistema di protezione sociale per quanto riguarda l'occupazione, la malattia, l' anzianità e la disoccupazione. La lista è tanto lunga che diventa impossibile elencare tutto, dal gelo delle pensioni nel 2004 fin all'agevolazione dei licenziamenti nelle piccole imprese.

Il solo esempio della "riforma del sistema sanitario", entrata in vigore nel gennaio 2004, è edificante. Col pretesto che i conti della previdenza malattia sono in leggero deficit (2,9 miliardi di euro su un totale di 145 nel 2003), consiste nel far pagare di più gli assicurati. Le medicine comperate senza prescrizione non sono più rimborsate, contrariamente al passato. La totale gratuità delle medicine per i pazienti è soppressa. Gli assicurati dovranno pagare un contributo forfettario tra 5 e 10 euro per ogni visita così come un "abbonamento" trimestrale per accedere al sistema sanitario. Un ticket di 10 euro è stato introdotto per ogni giorno di ospedalizzazione fine ad un limite massimo di ventotto giorni. Molte altre prestazioni sono state ridotte drasticamente e dovranno essere coperte ormai da un'assicurazione privata (complementare) a volte obbligatoria. La stampa fornisce numerosi esempi di centri per disabili e di centri postoperatori in difficoltà per il fatto che i residenti non possono pagare i supplementi non rimborsati. D'altronde, a partire dal gennaio 2005, gli assicurati sociali dovranno sottoscrivere un'assicurazione complementare pubblica o privata per le protesi dentarie e, a partire dal 2008, per ricevere l'indennità giornaliera in caso di malattia.

La ristrutturazione del sussidio di disoccupazione comporta, da parte sua, una riduzione del periodo coperto (ridotto a 12 mesi, invece di 36, a partire dal febbraio 2006) e un inasprimento delle condizioni per beneficiarne. Dal gennaio 2005, il sistema di "assistenza sociale" e quello della disoccupazione di lunga durata dovranno unificarsi. I sussidi versati ai disoccupati di lunga data, che rappresentavano circa 650 euro, saranno ridotti a 345 euro all'ovest e 331 euro all'est. Fino ad ora il sussidio sociale versato ai disoccupati di lunga data completava, fino ad un certo livello, i redditi che i beneficiari ricevevano già d'altro canto. Col nuovo dispositivo, i risparmi dei beneficiari sono contabilizzati come fonte di reddito poiché si considera che un disoccupato deve spendere le sue economie. In un primo progetto, si considerava addirittura che doveva spendere non solo le sue economie ma anche quelle dei figli se queste oltrepassavano 750 euro. Quest'ultima disposizione ha fatto tanto scandalo che il governo ha dovuto portare il livello a 4100 euro.

Ma esistono altri criteri altrettanto scioccanti di verifica della "fortuna" dei disoccupati. Così il possesso di un'automobile sarà preso in conto. Se il suo valore oltrepassa 5000 euro, bisognerà venderla oppure accettare una riduzione dei sussidi. Ciò non faciliterà di certo la ricerca di un lavoro ! Ma tutte queste misure hanno un solo scopo : costringere i disoccupati ad accettare qualsiasi posto di lavoro, anche se sottopagato.

E la compagine governativa ha ben altri progetti, come l'eliminazione di un altro giorno festivo oppure la creazione, prevista per il 2006, di un' "assicurazione cittadina" che dovrebbe sostituire le quote per la previdenza malattia (ed aprire la strada alle assicurazioni private) oppure il rinvio dell'età di pensionamento da 65 a 67 anni.

L'aggressione padronale

Incoraggiato dal comportamento del governo, il padronato da parte sua è partito all'offensiva contro il mondo del lavoro. Già da anni, alcune imprese sono uscite dalle federazioni padronali a cui appartenevano per non essere più costretti di rispettare gli accordi salariali di categoria e per imporre più facilmente gli accordi aziendali. Secondo l'istituto tedesco per la ricerca economica DIW, nel 2002, solo il 70% dei salariati della Germania dell'ovest e il 55 % di quelli dell'est erano ancora coperti da accordi salariali.

Una prima prova di forza è avvenuta nel giugno 2003 quando il sindacato IG Metall ha lanciato una lotta per ottenere che la durata legale del lavoro dei 310 mila operai metalmeccanici dell'est (38 ore) fosse allineata su quella dell'ovest (35 ore dal 1995). Il padronato ha rifiutato qualsiasi negoziazione, contrariamente alle abitudini. E siccome l'IG Metall aveva esaurito le sue forze in quattro settimane di scioperi limitati a singole imprese senza impegnarsi in una vera lotta generale, ha dovuto sospendere lo sciopero senza aver ottenuto alcunché.

Il patronato ha trovato rapidamente un nuovo angolo di attacco. Pretendendo che in Germania i salari erano troppo alti e che non si lavorava abbastanza, ha cercato di imporre un aumento dell'orario di lavoro senza aumento dei salari. Il produttore di pneumatici Continental e il fabbricante di apparecchiature mediche B. Braun sono stati tra i primi a farlo, già dalla fine del 2003. Nel 2004, l'offensiva si è generalizzata nelle piccole come nelle grandi imprese. Cosicché si sono visti grandi trust largamente beneficiari, come Siemens o Daimler-Benz (primo gruppo tedesco per fatturato), ma anche Opel, molte banche o ancora Lufthansa, effettuare ricatti sull'occupazione, minacciando di delocalizzare la produzione, in particolare nell'Europa dell'est, per spuntarla.

In realtà, le minacce di delocalizzazione brandite oggigiorno in modo sistematico, spesso non sono altro che una messa in condizione. Così, in un'inchiesta realizzata nel 2003 dalla federazione tedesca delle camere del commercio e dell'industria, il 18% delle imprese industriali dichiaravano di aver effettivamente delocalizzato una parte della loro produzione nel corso dei tre anni precedenti. Ma, nel 1993, erano già il 24% ad averlo fatto. Quindi il movimento reale di delocalizzazione non è un fatto nuovo e ancora meno in aumento. Ma, come in ben altri paesi, la minaccia di delocalizzazione è utilizzata come arma di ricatto. Il padronato cerca semplicemente di abbassare i costi salariali e di gonfiare i profitti facendo lavorare gratuitamente qualche ora di più.

E sta già preparando nuovi attacchi. Michael Rogowski, il presidente del BDI (la federazione dell'industria tedesca), rivendica una riduzione delle ferie annuali da sei a cinque settimane annue nella metallurgia. Ed ha avuto la faccia tosta, in un'intervista data al settimanale Die Zeit all'inizio di settembre, di reclamare che il padronato smetta di pagare quote per le casse di malattia e disoccupazione !

I bei giorni della borghesia

Vinta nel corso delle due guerre mondiali che aveva scatenato per tentare di ottenere una divisione del mondo in suo favore, la borghesia tedesca, a partire dal 1945, ha dovuto rinunciare a giocare un ruolo politico di primo piano su scala internazionale per concentrarsi sulla restaurazione della sua potenza economica e la perpetuazione dei suoi profitti. Ci è riuscita benissimo.

L'immenso mercato della ricostruzione del paese (di cui moltissime infrastrutture erano distrutte) e l'assistenza americana (sotto forma del piano Marshall) hanno contribuito al decollo dell'economia. Ma la borghesia non ha dimenticato che alla fine della prima guerra mondiale era stata sul punto di perdere il potere e che ne era stata minacciata ancora negli anni venti. Temeva ancora il proletariato, anche se questo era uscito dissanguato dalla guerra, dopo dodici anni passati sotto il tallone nazista e mesi sotto i bombardamenti di terrore esercitati dalle truppe alleate sui quartieri operai delle grandi città. Così per tutto un periodo scelse di comprare la pace sociale combinando la carota e il bastone. Il periodo d'espansione economica che dagli anni cinquanta a settanta gliene diede la possibilità, permettendo che il livello di vita dei lavoratori aumenti regolarmente. Parallelamente, tutta una serie di miglioramenti furono instaurati per quanto riguarda la protezione sociale.

Ma la borghesia ebbe ancora ricorso alla repressione contro tutti quelli che avrebbero potuto incarnare una qualunque contestazione del suo potere. Il partito comunista fu vietato dal 1956 al 1968, dei "divieti professionali" furono instaurati nell'amministrazione pubblica contro quanti erano sospettati di essere nemici della legge federale (che ha valore di costituzione in Germania).

D'altronde un "obbligo di pace sociale" fu imposto ai sindacati firmatari degli accordi salariali per tutta la durata dell'accordo. Nello stesso tempo, questi sono stati associati alla gestione degli interessi padronali tramite un sistema di cogestione. Dal 1946 diverse grandi imprese hanno offerto dei posti ai sindacati nei loro consigli di controllo. Questo sistema fu esteso successivamente per legge nel 1951 (sotto un governo di destra) per essere poi generalizzato nel 1976 dal partito socialdemocratico (SPD) allora al potere.

Infine, la dittatura antioperaia che regnava all'est sotto l'etichetta comunista ha fatto da spaventapasseri e contribuito a convincere i lavoratori dell'ovest che bisognava accettare quanto i turiferari del capitalismo battezzarono col nome di "economia sociale di mercato".

L' insieme di questo contesto ha permesso alla borghesia di beneficiare di una situazione estremamente favorevole per far fruttare i suoi affari, senza dover far fronte ad un problema sociale maggiore. L'agitazione studentesca degli anni sessanta non ha smosso la classe operaia come fu il caso, seppure a diversi livelli, in molti paesi, in particolare in Francia e in Italia. E da decenni, la Germania è uno dei paesi del mondo occidentale con il più basso numero di giornate di sciopero: undici giorni per 1000 salariati per tutto il periodo 1990-2001, contro 51 negli Stati Uniti oppure 327 in Spagna, secondo l'istituto IFO di Monaco.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il capitale si è precipitato verso l'est. Non per investire oppure sviluppare l'economia tedesca dell'est, che appunto mancava di capitali. Al contrario, le imprese sono state smembrate, vendute a basso costo a tutti i borghesi, i piccoli e grandi, dell'ovest, che non hanno comprato che i settori, oppure le officine, giudicate più redditizi. Gli altri sono stati eliminati per evitarne la concorrenza. Parallelamente, il mercato tedesco dell'est è stato aperto alle catene della grande distribuzione della Germania dell'ovest, che si sono radicate profittando di generose sovvenzioni e l'hanno inondata coi loro prodotti.

Tutto ciò ha generato profitti generosi. Ma questo decollo è durato solo due o tre anni. A partire dalla recessione economica degli anni 1992-1993, alcune voci si sono fatte sentire per rimettere in discussione il "modello renano". La caduta del muro ha reso la borghesia più insolente. Oramai non aveva più ragioni politiche di mantenere una protezione sociale un po' superiore a quella che veniva praticata nei paesi vicini.

La favola del declino della Germania

Gli attacchi in corso vengono giustificati nel nome della preservazione del "sito di produzione Germania" che sarebbe in pericolo a causa dei "costi di produzione" -vale a dire dei salari- troppo elevati. Questa è la propaganda servita ai lavoratori. Ma negli opuscoli di propaganda, tanto del governo che delle autorità dei Länder, si trova un altro discorso per attirare gli investitori esteri, come quello che proclama che in Germania "certo i salari sono più alti, ma anche la produttività e le presenze al lavoro ; e le tasse sui benefici delle società sono considerabilmente diminuite in questi ultimi anni". E in conclusione : "se si considerano i costi globali, per un investitore, la Germania si colloca nella media dell'Unione Europea". Inoltre, da una decina d'anni, i salari stagnano, il loro aumento è appena superiore all'inflazione ufficiale.

L'economia tedesca non è certamente più in una fase di espansione accelerata come negli anni 60. E, da due anni, il deficit del bilancio oltrepassa il 3%, il massimo teoricamente imposto dal patto di stabilità europeo. Ma è falso parlare di un arretramento industriale in Germania. Durante gli ultimi 25 anni, il valore della produzione industriale è cresciuto, in valore costante, del 2% all'anno. E soprattutto, i profitti della borghesia si portano sempre bene. In un'inchiesta pubblicata quest'estate, il quotidiano die Welt presentava i risultati delle prime cento imprese tedesche nel 2003 : 67 avevano fatto benefici e solo 17 annunciavano perdite (le altre non avevano comunicato risultati).

La bilancia commerciale da parte sua è in attivo, come nei giorni migliori degli anni 70. Nel 2003 la Germania è diventata perfino il primo esportatore mondiale (davanti agli Stati Uniti e al Giappone). Anche se questa performance è dovuta in parte all'aumento dell'euro rispetto al dollaro, non è certo il segno di un'economia traballante !

E poi il capitale tedesco ha ripreso piede sulla sua "periferia" naturale, l'Europa dell'est, dove è il primo investitore. I costruttori tedeschi assicurano cosi' il 63% della produzione di automobili individuali nei dieci paesi entrati nell'Unione Europea il primo maggio 2004. Ma è anche il caso altrove come in Cina, dove i trust tedeschi rappresentano un terzo della produzione.

La situazione dei lavoratori si degrada

Da anni, la disoccupazione si mantiene a livelli elevati. Nell'agosto 2004, colpiva 4 300 000 lavoratori, vale a dire il 10,5% della popolazione attiva. Si tratta di cifre ufficiali che, come in molti paesi, sottovalutano la realtà. Alcune fonti citate dall'istituto DIW di Berlino, pur vicini ad ambienti padronali, ritengono che 2,5 milioni di persone beneficiano di misure di "trattamento sociale della disoccupazione" (stage di formazione, contratti di inserzione...) e che il tasso di disoccupazione reale è vicino al 16%. La disoccupazione colpisce particolarmente l'est del paese. Ma, se ad ovest la media non è "che" dell'8,4%, in una grande città operaia della Ruhr come Dortmund, il tasso di disoccupazione raggiunge il 15,4% !

Se i lavoratori impiegati nelle grandi imprese, malgrado gli arretramenti, hanno ancora redditi relativamente elevati, in molte altre ditte, si lavora per salari di miseria. Un servizio diffuso sulla rete pubblica ZDF mostrava, nel giugno scorso, come l'ufficio del collocamento di Norimberga faceva pulire i suoi locali da società che imponevano ai loro impiegati ritmi pazzeschi, per salari orari di quattro euro, al di sotto del salario legale di categoria.

I "lavoretti" si moltiplicano. Si tratta di piccoli lavori pagati quattrocento euro, per i quali gli oneri sociali degli imprenditori sono la metà di quelli di un salario normale. Nell'autunno 2003, 5,9 milioni di persone esercitavano uno di questi "lavoretti". Per alcuni, rappresentavano un secondo lavoro per arrotondare lo stipendio. Ma per altri, si tratta del solo vero lavoro. E per il 2005 si annunciano già lavori pagati un euro l'ora negli enti locali o nelle associazioni, che i disoccupati di lunga data saranno obbligati di accettare a pena di abbassamento dei loro sussidi.

Nei Länder dell'est, la situazione è catastrofica. Mentre la RDT conosceva, a causa di una regolare diminuzione della sua popolazione, una penuria di manodopera, dalla riunificazione in poi la disoccupazione è esplosa. Le imprese che non hanno chiuso i cancelli sono state "razionalizzate": in qualche anno sono stati distrutti due milioni e mezzo di posti lavoro . La percentuale di disoccupati oggi raggiunge il 18,3%. Nella regione di Leipzig, nel 1989 c'erano cinquecentomila posti lavoro industriali. Oggigiorno non ne restano più che dodicimila e alcuni lavoratori sono disoccupati da più di dieci anni. Tutta la popolazione, alla quale l'ex cancelliere Helmut Kohl aveva promesso "paesaggi fioriti" risente questa situazione come una profonda umiliazione.

All'est, i salari sono, legalmente, inferiori a quelli dell'ovest... ma i prezzi sono gli stessi. I politici, e ancora recentemente, inizio settembre 2004, il presidente della Repubblica Horst Köhler, spiegano abitualmente che enormi somme di denaro (più di 1200 miliardi di euro in 15 anni) sono stati dedicati, invano, a dare sovvenzioni ai nuovi Länder. Ma questi fondi sono serviti in primo luogo alle imprese : sovvenzioni per "creare posti lavoro", pagamento dei sussidi di disoccupazione di lavoratori buttati sul lastrico, ma anche infrastrutture come autostrade, reti telefoniche, ecc. Inoltre l'est del paese ha perso più di un milione di abitanti nel corso di 15 anni. Cinquecentomila persone fanno quotidianamente la spola per andare a lavorare all'ovest.

La conseguenza di tutto ciò è che la povertà non cessa di crescere in una Germania dove era praticamente scomparsa dalla guerra. La percentuale della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è passata dal 9,2% nel 2000 al 12% nel 2003. E la situazione non potrà che aggravarsi allorché tutte le misure dell' "agenda 2010" saranno entrate in vigore.

La pusillanimità dei sindacati

Il padronato non ha potuto imporre questi sacrifici che con l'aiuto di tutti i governi che si sono succeduti da 15 anni a questa parte. Ma anche perché, di fronte a questa situazione, i sindacati non hanno organizzato nessuna controffensiva. Col pretesto di "salvare" gli accordi salariali o l'occupazione, accettano un cedimento dietro l'altro.

Eppure i sindacati tedeschi hanno la reputazione di essere potenti : la federazione sindacale tedesca (la DGB), legata alla socialdemocrazia, raggruppa ancora oggi 7,7 milioni di membri. Si è vantata, per anni, di aver ottenuto dei "progressi" pur dando prova di "responsabilità" e senza metter l'economia in pericolo con scioperi troppo frequenti. In realtà, se una parte di questa forza era il riflesso delle vecchie tradizioni di organizzazione del movimento operaio tedesco, la DGB deve la sua forza al fatto che la borghesia riteneva essere il suo interesse di mantenere e dar credito a quest'interlocutore e attore della cogestione.

Oggi, nella misura in cui questa stessa borghesia fa marcia indietro su quanto aveva concesso nel corso del periodo precedente, la DGB si rivela incapace di organizzare una risposta all'altezza degli attacchi in corso. In realtà, i suoi dirigenti non lo vogliono, non solo perché sono troppo legati al partito attualmente al potere, la SPD, ma anche perché sono, intrinsecamente, difensori dell'economia basata sul profitto molto più di quanto lo siano degli interessi operai. Hanno partecipato alla commissione Hartz , che ha preparato le misure contro i disoccupati e ne hanno accettato il principio; non vi si sono opposti che marginalmente, chiedendo una modifica delle misure più dure contro i disoccupati.

Per la classe operaia, la situazione si traduce dunque in un profondo arretramento. Per il momento, incassa i colpi e una sua frazione rilevante è disorientata, demoralizzata. Tanto più che i lavoratori hanno tutti contro di loro: il padronato, il governo SPD-verdi, l'opposizione parlamentare di destra (che ha votato tutte le misure antioperaie di Schroeder ed ha approfittato della maggioranza di cui dispone al Bundesrat - che corrisponde al senato - per aggravarle) ma anche i dirigenti sindacali.

Il malcontento della popolazione si esprime tra l'altro sul terreno elettorale: aumento importante dell'astensione, cedimento significativo della SPD, progresso elettorale dell'estrema destra in particolare nelle elezioni regionali del settembre 2004. Ma è evidente che questo non modificherà per niente l'orientazione della SPD. E d'altronde non è un caso se oggi è lei che rimette in discussione tutto una serie di conquiste sociali del periodo precedente. Il padronato si aspetta che utilizzi la sua influenza per far accettare senza scosse l'insieme di queste misure. I dirigenti della SPD ne sono coscienti, e sono pronti a pagarne il prezzo, anche se il loro partito deve discreditarsi profondamente nei confronti della classe operaia. La SPD ha dietro di lei una lunga tradizione di servilità e di bassezze al servizio dell'ordine borghese, e per i suoi dirigenti è escluso di rimetterla in discussione.

Da parte sua, il partito del socialismo democratico (PDS) erede del partito staliniano della Germania dell'est, che non aveva raggiunto il quorum del 5% nelle legislative del 2002, è in aumento in tutte le elezioni successive, in particolare all'est dove mantiene una rete importante di militanti, ma anche all'ovest dove resta comunque molto debole sul piano organizzativo. Ciò traduce senza dubbio una certa coscienza, da parte dei lavoratori dell'est, del fatto che la riunificazione non ha portato la felicità che gli si prometteva. Ma nello stesso tempo, c'è qualcosa di derisorio nel fatto che le masse non abbiano altra possibilità, per esprimere il loro malcontento, che di voltarsi verso il partito che ha esercitato il potere durante quaranta anni nel nome della classe operaia ma soprattutto contro di lei.

Dopo essere stato staliniano, il PDS si è trasformato in un partito socialdemocratico che si distingue da quello di Schroeder soprattutto per il fatto di non essere associato al potere governativo federale. Laddove ha acquistato il peso sufficiente per esercitare delle responsabilità, si comporta allo stesso modo del suo grande rivale. E' il caso in due Länder dell'est della Germania, tra cui Berlino, dove il PDS governa con la SPD e applica lealmente la stessa politica di austerità.

Per la classe operaia, l'avvenire è altrove. Per difendersi e imporre il loro diritto di vivere e di lavorare degnamente, i lavoratori della Germania non avranno altra scelta che la lotta collettiva. Bisogna augurarsi che le "manifestazioni del lunedì" che si sono susseguite dalla fine di luglio contro le riforme dei sussidi di disoccupazione, siano le premesse di tale lotta, come anche la manifestazione nazionale organizzata il primo novembre 2003 a Berlino contro lo "smembramento sociale", senza il sostegno delle direzioni sindacali, e che, a sorpresa di tutti, ha riunito cento mila manifestanti, oppure come un certo numero di azioni locali (scioperi, manifestazioni) che hanno avuto luogo da un anno a questa parte. Ma queste iniziative, se rappresentano un segnale di speranza, per il momento restano minoritarie.

Il peso del DGB non favorisce l'apparizione di movimenti di protesta potenti, i soli che potrebbero far temere alla borghesia e al suo governo di avere qualcosa da perdere e convincerli a mollare. Per ciò, bisognerà ritrovare la via dello sciopero, quello vero, rompere con le pratiche attuali di scioperi di breve durata previsti da settimane, tra due sedute di negoziati, che fanno parte del gioco sociale istituzionalizzato tra il padronato e i sindacati. Bisognerà anche ritrovare l'abitudine di riunirsi, discutere e di decidere, di partecipare attivamente alle lotte e darsi i mezzi di controllarle democraticamente. Le tradizioni di organizzazione e di educazione del movimento operaio possono essere un aiuto. Ma sarà necessario che i militanti operai che vedono la situazione degradarsi e che vogliono reagire, prendano coscienza del fatto che il periodo precedente è finito ; che la "cogestione", che è sempre stata un inganno ma che nel contesto precedente poteva tradursi in qualche miglioramento, ormai consiste solo nell'accettare nuovi arretramenti.