La situazione politica in Francia (Testo della maggioranza)

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Da "Lutte de Classe" (La situazione politica in Francia)
Dicembre 1996

Il tempo passato, dagli scioperi della fine dell'anno scorso in poi, ha confermato che nonostante l'importanza assunta dal movimento di novembre-dicembre 1995, questo ha potuto costringere, almeno momentaneamente, il governo a fare un passo indietro rispetto ad alcuni progetti suoi, ma non è stato in grado di fermare l'offensiva della borghesia. Da quasi vent'anni, quest'ultima, tramite i successivi governi di "destra" o di "sinistra", cerca di mantenere i suoi profitti col limitare sempre di più la parte del reddito nazionale che tocca alla classe operaia.

L'impoverimento della classe operaia è dovuto a fattori molteplici. Per trovare le risorse che gli permettono di moltiplicare i regali di ogni genere ai possidenti, lo Stato continua di aumentare le tasse, come la CSG (Contribuzione Sociale generalizzata) e le imposte indirette che colpiscono di più i ceti popolari. Il blocco effettivo dei salari, pur con la notevole diminuzione dell'inflazione verificatasi dall'inizio degli anni ottanta in poi, grava sui redditi dei lavoratori che hanno avuto la fortuna di conservare il loro posto di lavoro. Chi è stato vittima di un licenziamento, molto spesso non riesce a ritrovare un lavoro, tranne con una perdita di salario. Per di più, sta crescendo continuamente il numero dei disoccupati che vivono solo con la solidarietà dell'ambiente familiare, tra l'altro i giovani che riescono solo a trovare piccoli lavori poco pagati e di breve durata, e che all'età di venticinque anni ed oltre, continuano di essere dipendenti dai loro genitori, sia per l'alloggio che per i redditi.

Non si tratta di un impoverimento brutale, bensì di un fenomeno sempre in aumento, poiché oggi molti giovani vivono, all'opposto di quanto sarebbe normale, grazie alla solidarietà dei più anziani. L'ineluttabile diminuzione dei redditi di questi, provocata dall'arrivo all'età pensionabile di lavoratori che percepiranno pensioni più basse per il fatto dei loro bassi salari di fine carriera e del nuovo modo di calcolo delle pensioni, sta per rendere sempre meno efficace questo ammortizzatore delle conseguenze della disoccupazione.

Insieme a questa diminuzione delle risorse della popolazione lavoratrice, le condizioni di lavoro della classe operaia peggiorano continuamente.

Fino a questa parte, la classe operaia è stata di gran lunga la principale vittima di tale situazione. Ma il prolungarsi della stagnazione cronica dell'economia, che già é in atto da più di venti anni, non può mancare ad un certo punto di fare pesare le sue conseguenze su altri ceti sociali, poiché non è possibile che il consumo della popolazione lavoratrice diminuisca così notevolmente, senza provocare delle difficoltà nei settori della piccola borghesia di cui i lavoratori costituiscono tutta o gran parte della clientela.

Sono dunque riunite le condizioni oggettive di un'esplosione sociale. Manca però ai lavoratori un partito credibile, capace di indicare loro gli obiettivi che permetterebbero di rovesciare il rapporto delle forze e di preparare la lotta che li potrebbe imporre. I grandi partiti che si rivendicano della classe operaia non hanno altri obiettivi, oggi come ieri, che candidarsi per la gestione degli affari della borghesia. Di fronte a questa, non fanno altro quindi che riaffermare la loro volontà di raggiungere questi obiettivi nel rispetto umile delle scadenze elettorale.

Nelle file della destra, la vittoria elettorale di Chirac all'elezione presidenziale del '95 è stata ben lontana dal ristabilire l'unità. Non sono tanto in causa le conseguenze della lotta fraticida tra Balladur e Chirac, quanto il timore dei parlamentari di destra di fronte ad una possibile sconfitta nelle elezioni legislative della primavera del'98.

Infatti, tutta la vita della destra e della sinistra francese è dominata da questo problema : chiaramente, esse vorrebbero governare, ma i loro dirigenti sono ben coscienti che così facendo, nelle condizioni odierne di crisi cronica dell'economia, il fatto di stare al governo discredita uomini e gruppi di potere.

E mentre il duetto Chirac-Juppé tocca i massimi dell'impopolarità, gli altri capifila della destra cercano, ognuno a suo modo, di apparire differenti, per offrire delle soluzioni di ricambio al governo in posto.

In tali condizioni, il Partito socialista ha ritrovato la sua unità solo perché non è in carica delle responsabilità governative. Certo, esso potrebbe tornare al governo con la prossima legislatura, come lo indicano i risultati di alcune elezioni parziali. Ma sebbene i suoi dirigenti parlino volentieri della necessità di cambiare politica, e per questo di cambiare il governo, essi si guardano bene dal definire precisamente un' altra politica economica.

Durante gli scioperi di novembre-dicembre 95, il Partito socialista è rimasto molto discreto, in parte perché non era davvero opposto al piano di Juppé, che non faceva altro che prolungare la politica condotta da lui stesso quando era al governo. Ma innanzitutto non vuole tornare al governo sulla base di un movimento sociale che lo potrebbe costringere a promettere più di quanto la borghesia non accetterebbe.

Per questo, il partito socialista non fa nessuna promessa, non vuole nutrire alcuna speranza concreta e conta solo sull'esaurimento del consenso per la destra al governo, per ritrovare le dorature del palazzo di Matignon.

Il Partito comunista francese non ha, neanche lui, altra prospettiva che di essere di nuovo associato ad un governo di sinistra. Ma per lui, la cosa è ancora più problematica, poiché per questo ci vorrebbe non solo una vittoria della sinistra nelle prossime elezioni, bensì che al partito socialista, quale maggiore forza elettorale di questa sinistra, la presenza di ministri comunisti al governo risulti una cosa utile.

Inoltre, di fronte ad una base e un elettorato di cui buona parte conserva brutti ricordi del periodo 1981-84 di presenza del PCF al governo, questo deve sviluppare une strategia di unione delle sinistre simile a quella di questa epoca, pur criticando nello stesso tempo il passato, per dare l'impressione di fare del nuovo. A tale scopo, il PCF ha sviluppato una politica, segnata da numerose riunioni "unitarie", che allo stesso tempo mira a preparare nuovi accordi elettorali con il PS, e a provare a raccogliere i voti che potrebbero andare all'estrema sinistra o alla corrente ecologista, per essere in una posizione migliore durante la negoziazione di questi accordi.

La LCR, sezione francese della IVa internazionale, dopo di avere per molti anni cercato un'"alternativa" dalla parte degli ecologisti, dei sindacalisti considerati combattivi o dei socialdemocratici più o meno "di sinistra", dopo di aver fatto la campagna elettorale di Juquin nel 1988 e di avere invano corteggiato i Verdi e la loro candidata Voynet nel 1995, oggi si è messa alla coda di questa nuova versione dell'unione delle sinistre che si sta preparando. Di lì deriva il tentativo di costituire un "polo di radicalità" con il PCF, l'MDC di Chevènement (Movimento dei Cittadini, dissidente dal PS), gli ecologisti ed alcuni altri "a sinistra" del PS. Ma questo tentativo, portato avanti in occasione dell'elezione legislativa parziale di Gardanne, è stato soffocato sul nascere dagli stessi Chevènement, PCF e Voynet.

Eppure ciò che preoccupa di più i militanti operai è il risultato elettorale del Fronte Nazionale di Le Pen. Il vero problema non è di sapere se nelle prossime elezioni il FN avrà dei deputati o meno, il che invece preoccupa tanto i politicanti di sinistra o della maggioranza di governo e i commentatori politici. La questione sta nell'esistenza durevole di una frazione importante della popolazione che si ritrova nei discorsi xenofobi, nel razzismo sempre più aperto di Le Pen. Tanto più che durante il periodo recente, i dirigenti del Fronte Nazionale hanno indurito il loro discorso, e oggi parlano volentieri un linguaggio più radicale, evocando talvolta delle prospettive di rovesciamento "rivoluzionario" dell'attuale sistema politico.

Questo radicalismo verbale non basta per fare del Fronte Nazionale un partito fascista nel pieno senso della parola, perché gli manca una base sociale. L'aggravarsi della crisi però potrebbe fornirgliela, con nello stesso tempo dei finanziatori dalle parti del gran capitale. In ogni modo, non sarà con l'aiuto di "fronti repubblicani" o di "comitati di vigilanza" formati dai vertici dei partiti di sinistra, che la classe operaia potrà ostacolare i progressi del Fronte Nazionale, ma solo con un intervento deciso sulla scena politica e sociale, difendendo i suoi interessi di classe.

Per quanto riguarda le rivendicazioni, l'anno che sta finendo non ha avuto un volto molto diverso da quello degli anni precedenti. Dopo i movimenti della primavera 95 e lo sciopero della Funzione pubblica in novembre-dicembre dello stesso anno, tutti gli scioperi si sono svolti all'iniziativa delle grandi organizzazioni sindacali, sotto il loro controllo, nel quadro da esse fissato. Infatti, nell'attuale situazione politica, le organizzazioni sindacali sono del tutto capaci di prendere l'iniziativa di scioperi, e addirittura di scioperi di vasta portata, o di accompagnarli se questi scioperi scoppiano indipendentemente da loro.

Le possibilità per i militanti rivoluzionari di avere la parte dirigente nei movimenti importanti, scavalcando queste organizzazioni a difesa degli interessi fondamentali dei lavoratori, è ridotta. Ridotte non significa però che non dobbiamo cercare di fare in modo che qualsiasi lotta vada fino in fondo alle sue possibilità, o magari al di là, poiché non si possono trascurare la possibilità di una presa di coscienza nel corso delle lotte stesse. Non dobbiamo però coltivare illusioni estremiste sulle possibilità offerte nel momento, e valorizzare eccessivamente il significato dei recenti movimenti.

Nell'attuale contesto, non sappiamo se la classe operaia si muoverà, né quando lo farà, e non sappiamo neanche ciò che la farà entrare in lotta. Sappiamo però, perché tutta la storia del movimento operaio ce lo insegna, che se c'é una lotta di vasta portata, essa dovrà cambiare profondamente il rapporto di forza con la borghesia. Se si tratta solo di un successo limitato, il padronato ed il governo riprenderanno ben presto le concessioni fatte durante il movimento. Anzi, questo potrebbe essere seguito da una grave sconfitta, come si è visto troppo spesso nel passato.

Ma per cambiare sufficientemente il rapporto di forza tra borghesia e lavoratori, bisognerà che una decisa e cosciente frazione del mondo del lavoro sia capace di avere le prospettive corrispondenti alle necessità della situazione e sia in grado di non cadere nelle trappole riformiste.

Nel contesto di crisi cronica dell'economia che conosciamo, né l'aumento dei salari, né la riduzione del tempo di lavoro porteranno ad un miglioramento della situazione sociale della popolazione lavoratrice, se non si prendono i mezzi per controllare le aziende capitalistiche. Per questo, l'idea della trasparenza e del controllo, che abbiamo portata avanti in occasione delle rivelazioni pubbliche degli scandali politico- finanziari, non sono semplici indicazioni in mezzo a tante altre, bensì la chiave del piano di emergenza che difendiamo.

Ben per questo, uno dei principali compiti dei militanti rivoluzionari nelle fabbriche, sta nel popolarizzare quest'idea presso il più grande numero di lavoratori possibile.

E' necessario, in una lotta concreta, aiutare i lavoratori a difendere le rivendicazioni che essi hanno ritenute abbastanza importanti da entrare in lotta. Ma non si deve affatto, quando si tratta solo di propaganda, limitarsi alle rivendicazioni quali l'aumento dei salari o la diminuzione degli orari per trovare più facilmente un'udienza tra i militanti politici o sindacali, o addirittura confermare le loro pregiudiziali riformiste.

Per quanto riguarda il nostro reclutamento e la nostra influenza, purtroppo è stata confermata l'analisi del significato dei nostri risultati, fatta da noi dopo l'elezione presidenziale.

Tale risultato non rappresentava uno spostamento considerevole dei voti, una spinta sufficiente verso le idee che difendiamo. Tuttavia abbiamo deciso di esplorare fino in fondo le possibilità che questa situazione ci poteva aprire.

Possiamo, e dobbiamo, circondarci con simpatizzanti, tra l'altro nelle fabbriche, laddove i contatti sono più durevoli. Ma dobbiamo anche ricercare i giovani lavoratori e i giovani intellettuali, ovunque li possiamo trovare, tra l'altro nei posti in cui le necessità sociali li concentrano : licei e scuole medie, case dello studente o dei giovani lavoratori, quartieri, alcune fabbriche, ecc.

Dobbiamo fare questo sforzo militante, non ridurlo, fare lo sforzo di dare una cultura politica ai nostri simpatizzanti, pure quando sono venuti a noi solo per delle ragioni di politica quotidiana.

Questo è l'unico avvenire che abbiamo come organizzazione. Non c'é nessuna scorciatoia, non c'é una corrente nel quale ci potremmo infilare.

Le dimensioni della nostra organizzazione sono sufficienti per darci la possibilità di definire la politica necessaria alla classe operaia. Il nostro capitale politico lo dimostra. Invece nella situazione odierna, le nostre dimensioni non sono sufficienti da esercitare un influenza sugli avvenimenti e sulle lotte dei lavoratori, almeno sulle lotte importanti, tale da portare ad un cambiamento del rapporto di forza con la borghesia.

Più che mai ci è necessaria una politica giusta, e una politica giusta consiste nell'esatta coscienza delle nostre possibilità, delle nostre capacità in rapporto alla situazione, ma anche nella coscienza dei nostri limiti.

Dobbiamo guardarci dal confondere le necessità di una situazione con le nostre possibilità. Ovviamente, ciò significa guardarci da ogni tipo di fraseologia estremista. E' vero che possiamo affermare la necessità oggettiva, per le classi lavoratrici, dei principali punti del piano di emergenza che abbiamo cercato di popolarizzare presso i lavoratori con i mezzi che ci erano offerti, e che continueremo di popolarizzare con tutti i mezzi di cui disponiamo. Ma è altrettanto vero che dobbiamo evitare di persuaderci noi stessi che abbiamo la possibilità, nell'attuale situazione, di fare sì che la classe operaia riprenda questa rivendicazione e soprattutto abbia i mezzi di attuarla.

L'efficienza politica, le capacità politiche, stanno nell'essere capaci di fare nello stesso tempo queste due analisi e questi due giudizi.