Da "Lutte de classe" n°248 - Maggio - Giugno 2025
Quattro mesi dopo il ritorno di Trump al potere, la guerra tra Russia e Ucraina non è ancora finita. La maggior parte dei media ne parla come di un fallimento per il presidente americano. Come se Trump, accecato dal suo desiderio di pace, non fosse stato in grado di vedere la doppiezza di Putin, a differenza degli europei Macron, Starmer, Merz e Meloni, che intendono sostenere l'"indipendenza" dell'Ucraina "fino alla fine", anche se ciò significa prolungare la guerra.
Ma la realtà è ben diversa: gli alleati dell'Ucraina l'hanno usata per condurre una guerra per procura contro la Russia, fornendole armi ma lasciando gli ucraini sacrificarsi per interessi diversi dai loro. La vera posta in gioco in questa guerra è stata, fin dall'inizio, il controllo della posizione strategica dell'Ucraina alle porte della Russia e delle sue numerose risorse naturali. In un mondo imperialista, l'indipendenza di un Paese come l'Ucraina è una chimera. La questione posta da questa guerra girava intorno al bottino ucraino e a come sarebbe stato ripartito tra le grandi potenze secondo il rapporto di forze tra i belligeranti.
Trump, alla guida del principale Paese della coalizione imperialista, ha annunciato brutalmente la fine della partita non appena è tornato alla Casa Bianca, concedendo il quasi totale riconoscimento dei territori conquistati dall'esercito russo e facendo pressione su Zelensky per ottenere dall'Ucraina vantaggi per i capitalisti americani, a scapito dei loro concorrenti europei. L'8 maggio, il Parlamento ucraino ha così ratificato l'accordo imposto dagli Stati Uniti per sfruttare e trarre profitto dalle risorse naturali del Paese: minerali, gas e petrolio. L'accordo consentirà anche alle aziende americane delle posizioni vantaggiose sul mercato della ricostruzione dell'Ucraina dopo la guerra, un cantiere valutato in svariati miliardi di dollari. I dirigenti dell'Unione Europea si ritengono svantaggiati e stanno ancora cercando di ottenere una fetta della torta assumendo la posizione di migliori sostenitori del governo ucraino.
Il riavvicinamento tra gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin è stato quindi presentato come una sorpresa e persino un brutto colpo. Eppure, non c'è nulla di sorprendente: i dirigenti russi, a capo di uno Stato ereditato dall'URSS, hanno certamente interessi che molte volte li hanno opposti a quelli dell'imperialismo. Ma tutta la loro storia dimostra che spesso sono riusciti ad andare d'accordo con questi ultimi a spese dei popoli e dei lavoratori che sfruttano e saccheggiano, complici nell'oppressione e sottomissione dei medesimi.
In realtà, questa complicità essenziale tra burocrazia e imperialismo risale all'epoca in cui esisteva ancora l'URSS e all'origine stessa dell'instaurazione del potere della burocrazia all'epoca di Stalin.
Infatti, nello stato sorto dalla rivoluzione operaia dell'ottobre 1917, da quando il potere passò dalle mani delle classi lavoratrici a quelle di una burocrazia parassitaria e reazionaria che si opponeva violentemente a qualsiasi nuovo cambiamento rivoluzionario nell'ordine mondiale, il regime burocratico stalinista poteva solo cercare di andare d'accordo con i tradizionali guardiani del sistema capitalista. E il fatto che questi ultimi rifiutassero spesso le loro offerte di servizi, preferendo innanzitutto sbarazzarsi di quel corpo estraneo quale era l'URSS, non cambiava in nulla la loro essenziale complicità nell'impedire che gli sconvolgimenti rivoluzionari tornassero a scuotere il mondo.
L'abbandono della prospettiva rivoluzionaria da parte della burocrazia staliniana
Dal 1918 al 1921, per arginare la marea rivoluzionaria seguita alla rivoluzione dell'ottobre 1917 in Russia, le potenze imperialiste, in una sacra unione per salvare il loro sistema, si unirono per sostenere la controrivoluzione. Per altri tre anni, dopo la guerra imperialista, i lavoratori sovietici dovettero sacrificare tutto per sconfiggere gli eserciti bianchi e gli interventi armati stranieri.
All'indomani della guerra civile, non essendo riusciti a rovesciarlo, i Paesi imperialisti si dissero pronti ad avere relazioni economiche e politiche con lo Stato operaio. I rivoluzionari non si fecero ingannare e Trotsky scrisse: "Cosa vuole la diplomazia? Imporre alla Russia rivoluzionaria il più pesante tributo possibile; obbligarla a pagare il maggior numero possibile di riparazioni; allargare il più possibile, sul territorio sovietico, il quadro della proprietà privata; creare, per i finanzieri, gli industriali, gli usurai russi e stranieri, più privilegi possibile a spese degli operai e dei contadini russi" (1).
Ma a prescindere dalla ripresa o meno delle relazioni con l'Occidente imperialista, ciò che sarebbe stato decisivo per il destino dello Stato operaio era l'estensione della rivoluzione. Lenin ripeteva: "Senza l'aiuto tempestivo della rivoluzione internazionale non resisteremo". Nel frattempo, l'obiettivo dei rivoluzionari era quello di rafforzare lo Stato operaio, gettando le basi di un'economia che solo in seguito sarebbe stata pienamente socialista, quando la rivoluzione si sarebbe estesa a nuovi Paesi. In questo modo l'URSS cercava di ottenere dalle relazioni con i Paesi capitalisti i mezzi per rilanciare la propria economia, ancora arretrata e rovinata da sette anni di guerra mondiale e poi civile. Allo stesso tempo, attraverso l'Internazionale Comunista, i rivoluzionari facevano tutto il possibile per far prevalere la rivoluzione in altri Paesi.
Ma mentre la rivoluzione mondiale segnava il passo, in quegli stessi anni la burocratizzazione dello Stato operaio e del Partito comunista diventava un fenomeno dilagante, un pericolo mortale per il futuro dello Stato sovietico. La burocrazia, uno strato sociale composto da milioni di funzionari, dai vertici alla base dello Stato, si comportò come una casta, aspirando in modo sempre più consapevole a garantire la propria posizione e i propri privilegi contro tutto ciò che li poteva minacciare, a cominciare dalla classe operaia.
Dopo la morte di Lenin, Stalin incarnò questa svolta politica e sociale. Affermando nel dicembre 1924 che il socialismo era possibile "in un solo Paese", il capo della burocrazia rese chiaro al mondo, e quindi all'imperialismo, che il regime stava voltando le spalle alla rivoluzione mondiale. Allo stesso tempo, la burocrazia lanciò una lotta implacabile contro coloro che all'interno del Partito Comunista rimanevano rivoluzionari. L'URSS non crollò, ma subì una grave sconfitta interna: il regime rivoluzionario lasciava il posto ad un'enorme forza che si opponeva a qualunque evoluzione sociale. Fu un fenomeno senza precedenti nella storia.
In termini di relazioni internazionali, la rottura con il passato bolscevico non fu meno drammatica. Da quel momento in poi, la burocrazia non ebbe alcuna intenzione di aiutare le classi lavoratrici di altri Paesi a prendere il potere. Temeva una nuova ondata rivoluzionaria che, risvegliando lo spirito combattivo dei lavoratori in URSS, avrebbe potuto minacciare il suo stesso potere. Da allora in poi, in forme diverse ma con lo stesso costante orientamento, la diplomazia sovietica cercò un terreno comune con la borghesia dei Paesi imperialisti.
Dai fronti popolari al patto tedesco-sovietico: scelta di un campo imperialista contro l'altro
Per essere accettati come interlocutori e partner dall'imperialismo, i burocrati dovevano dimostrare che, sotto la dittatura di Stalin, l'URSS non rappresentava più un pericolo rivoluzionario. Infatti l'imperialismo vedeva l'esistenza stessa dell'URSS come una minaccia. Anche sotto il dominio della burocrazia e a suo discapito, l'URSS rappresentava una speranza agli occhi degli sfruttati di tutto il mondo, la prova che la classe operaia al potere era in grado di costruire - sulla scala di un sesto del territorio mondiale! - una società che funzionasse senza proprietà privata dei mezzi di produzione e senza capitalisti.
Solo dopo il fallimento dei movimenti rivoluzionari del periodo tra le due guerre mondiali, sempre più chiaramente per responsabilità della burocrazia, l'imperialismo si convinse che poteva andare d'accordo con Stalin e che poteva essere nel suo interesse contare sul suo regime, anche a costo di dargli una legittimazione.
Questa fu la tragedia della rivoluzione cinese di 1925-1927, durante la quale l'Internazionale Comunista, nel processo di stalinizzazione, spinse il giovane Partito Comunista Cinese a perseguire una politica suicida a rimorchio di un partito borghese, il Kuomintang. Questa politica portò allo schiacciamento della classe operaia e al massacro dei comunisti cinesi da parte dei nazionalisti, che Stalin insisteva a presentare come i loro migliori alleati.
Poi, come un fulmine, arrivò Hitler al potere, una sconfitta senza combattimento per gli operai e il Partito Comunista tedeschi, paralizzati dalla politica suicida dei dirigenti staliniani. Con Hitler al potere, si ripresentò la minaccia di una nuova guerra contro l'URSS e la Germania poteva contare sulla tacita approvazione, se non sul sostegno, degli altri Paesi imperialisti. Fu a questo punto che Stalin, per far fronte alla minaccia, propose di allearsi con la sedicente borghesia democratica dei Paesi imperialisti rivali della Germania, che fu la base della sua politica del Fronte Popolare.
A metà degli anni Trenta, i Fronti Popolari consistevano in un'alleanza elettorale tra i partiti comunisti e la socialdemocrazia riformista e i partiti borghesi, come i Radicali in Francia. Sostituendo il linguaggio della lotta di classe con quello del patriottismo, i Partiti comunisti assunsero quello nazionalista. In Francia, durante le manifestazioni, la bandiera tricolore sventolava accanto a quella rossa, mentre s'intonavano, senza distinzioni, la Marsigliese e l'Internazionale. Di fronte alla prospettiva di una nuova guerra imperialista, l'Internazionale Comunista diffuse il mito della lotta delle democrazie contro il fascismo e difese una politica pacifista, senza evocare la prospettiva della rivoluzione.
Questa svolta rassicurò la borghesia e l'URSS poté così entrare nel gioco delle alleanze tra potenze imperialiste. Alla fine del 1934, Stalin fece aderire l'URSS alla Società delle Nazioni (il precursore dell'ONU), che Lenin aveva definito un "covo di briganti" imperialisti. Nello stesso anno, Trotsky scrisse: "Il pericolo rivoluzionario rappresentato dal comunismo è diventato meno pressante, nonostante la terribile crisi. I successi diplomatici dell'Unione Sovietica sono da attribuire, almeno in gran parte, all'estremo indebolimento della rivoluzione internazionale".
Il carattere controrivoluzionario della politica del Fronte Popolare si rivelò pienamente quando la classe operaia dimostrò ancora una volta la sua volontà di lotta. In Francia, subito dopo l'insediamento del governo di Léon Blum, il Partito Comunista sabotò lo sciopero generale del giugno 1936, impedendo che la mobilitazione di milioni di proletari si trasformasse in un movimento rivoluzionario.
In Spagna, poco dopo, quando in reazione al colpo di Stato di Franco scoppiò la rivoluzione, la guerra civile fu condotta dalla parte repubblicana dietro il governo borghese del Fronte Popolare. L'URSS inviò armi alla Spagna repubblicana e il Partito Comunista di Spagna, che partecipava a questo governo, si occupò di liquidare le correnti e le milizie rivoluzionarie, gli anarchici e i comunisti antistalinisti. Una volta spezzata la mobilitazione rivoluzionaria del proletariato e dei contadini, il Fronte Popolare non fu in grado di sconfiggere militarmente Franco e l'alleato di Hitler e Mussolini non ebbe più ostacoli nell'instaurare la sua dittatura.
Tuttavia, con l'avvicinarsi della guerra imperialista, Stalin vide che le "democrazie" non avevano alcun desiderio di opporsi alla Germania nazista, e ancora meno di difendere l'URSS dai progetti militari di Berlino. Così intavolò trattative segrete con i dirigenti nazisti. Con grande stupore di tutti, questi negoziati sfociarono nel Patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939, che diede a Hitler mano libera per iniziare la guerra in Occidente. Fu una pugnalata alle spalle per i militanti comunisti, ai quali Stalin e i partiti comunisti avevano detto per anni che il fascismo era il nemico da sconfiggere. Ciò non poteva che demoralizzare coloro che vedevano nell'URSS il miglior baluardo contro il fascismo. Tra le altre cose, il patto prevedeva la spartizione della Polonia tra i due Paesi, che pochi giorni dopo avrebbe segnato l'inizio ufficiale della guerra mondiale. Tuttavia, la tregua sperata da Stalin fu di breve durata e si concluse con l'invasione tedesca del 22 giugno 1941.
Jalta: mantenere l'ordine imperialista alla fine della II guerra mondiale
Nel corso della guerra l'URSS riuscì a respingere l'invasione tedesca e a far avanzare un esercito di sei milioni di uomini lungo un fronte di 5.000 km. Dopo aver conquistato Berlino, l'esercito del Cremlino occupò gran parte dell'Europa.
Si aprì così un nuovo periodo nelle relazioni tra l'imperialismo e l'URSS di Stalin: un periodo di complicità non solo di fatto, ma decisa, aperta e sviluppata congiuntamente. Come segno di buona volontà, nel 1943 Stalin liquidò l'Internazionale Comunista, da tempo ridotta all'impotenza, e ribattezzò l'Armata eliminando l'aggettivo "rossa", che ne richiamava le lontane origini rivoluzionarie.
Tra il 1943 e il 1945, diversi incontri al vertice riunirono Stalin con i rappresentanti dell'imperialismo anglo-americano, Roosevelt e Churchill, alleati contro la Germania di Hitler e i paesi dell'Asse. Ma non si trattava solo di sconfiggere queste potenze. La preoccupazione principale degli imperialisti era il dopoguerra. Temevano che la guerra mondiale si sarebbe conclusa, come la precedente, con un'ondata rivoluzionaria che avrebbe scosso l'intero sistema capitalistico. Sapevano per esperienza che la sconfitta della Germania e dell'Italia sarebbe stata segnata in quei Paesi e in Europa, da crisi con convulsioni e scontri sociali e politici. Per scongiurare questo pericolo, la migliore garanzia era l'alleanza con l'URSS di Stalin, che accettò di svolgere il ruolo che ci si aspettava da lei per essere finalmente ammessa al tavolo dei grandi del mondo. Le sue truppe e i suoi carri armati mantennero l'ordine nell'Europa orientale e ovunque dettò le politiche dei partiti comunisti, la cui influenza sulla classe operaia poteva essere decisiva per stroncare una rivolta operaia dall'interno.
Alle conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam, gli Alleati si spartirono le zone di influenza dove i rispettivi eserciti avrebbero mantenuto l'ordine, con l'URSS riconosciuta come potenza dominante nell'Europa orientale. Churchill raccontò nelle sue memorie come, con Stalin, risolse in due minuti il destino di diversi Paesi balcanici, assegnando il 90% del controllo della Romania all'URSS, il 90% della Grecia alla Gran Bretagna e dividendo equamente l'influenza su Jugoslavia e Ungheria.
Nei territori che occupava, l'esercito sovietico si comportava come gli eserciti imperialisti altrove. Bisognava fare in modo che nessun lavoratore in Germania o nell'Europa orientale potesse considerarlo come un esercito di liberazione, cancellare tutte le speranze che avrebbe potuto suscitare suo malgrado.
Dopo la guerra, alcuni partiti comunisti ebbero persino dei ministri nei governi borghesi, in particolare in Italia e in Francia. E quando ci furono scioperi e mobilitazioni popolari, i partiti comunisti fecero di tutto per evitare che sfociassero in una crisi rivoluzionaria. In Grecia, sotto il dominio britannico, il Partito Comunista fu massacrato , senza che Stalin reagisse. Infine, proprio mentre gli Stati Uniti sganciavano due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l'URSS dichiarò guerra al Giappone, occupando la Manciuria per mantenere l'ordine.
L'equilibrio della guerra fredda
Una volta che l'Europa capitalista era rimessa in sesto e ogni pericolo rivoluzionario immediato era stato scongiurato, l'imperialismo preferì evitare di stringere accordi con l'URSS. Per sua natura, rimaneva fondamentalmente ostile allo Stato sorto dalla Rivoluzione d'Ottobre, a maggior ragione per il prestigio e lo status di grande potenza con cui era uscito dalla guerra.
Per questo motivo la collaborazione aperta fu presto sostituita dalla "guerra fredda". Per attirare i Paesi europei dalla propria parte e ridurre l'influenza sovietica, l'imperialismo americano lanciò il Piano Marshall. Per proteggere l'area che occupava, l'URSS insediò i propri governi, creando una zona che avrebbe formato il "blocco sovietico", tagliato fuori dal blocco occidentale dal 1947-1948. Questo relativo equilibrio tra i due blocchi durò per circa quarant'anni, fino alla caduta dell'URSS. Il ritorno dell'ostilità tra l'imperialismo occidentale nel suo complesso e l'Unione Sovietica assunse a volte toni minacciosi, facendo temere una terza guerra mondiale. In Corea, in particolare, la guerra infuriò tra il 1950 e il 1953, dividendo il Paese in due e aggiungendosi alla resa dei conti in Europa. Ovunque, le linee di demarcazione si congelarono. Rimaneva però una complicità fondamentale tra le grandi potenze, diretta contro i popoli.
Quando, pochi anni dopo la Seconda guerra mondiale, il proletariato si mise in lotta nell'Europa orientale, il Cremlino organizzò la repressione. Nel 1953 a Berlino Est, poi nel 1956 in Polonia e soprattutto in Ungheria, dove scoppiò una rivoluzione e riapparvero i consigli operai, fu l'esercito sovietico a schiacciare gli insorti. La divisione dei ruoli tra i briganti per mantenere l'ordine mondiale continuò nonostante la guerra fredda. Ciascuno avrebbe compiuto i propri crimini nella propria zona di influenza: gli imperialisti contro i popoli del Terzo Mondo e i dirigenti sovietici contro quelli di Cecoslovacchia, Polonia e Afghanistan.
All'indomani della Seconda guerra mondiale, un'ondata di rivolte si diffuse nelle colonie per conquistare l'indipendenza, minacciando la dominazione imperialista in Asia, Africa e America Latina, e sollevando milioni di sfruttati. L'influenza della burocrazia russa impedì che questi movimenti assumessero un carattere rivoluzionario e si diffondessero oltre i confini nazionali. I partiti comunisti staliniani, che di fatto erano diventati partiti nazionalisti, misero il proletariato a rimorchio dei partiti indipendentisti borghesi.
La burocrazia appoggiava regimi che venivano definiti progressisti perché rifiutavano di allinearsi sistematicamente agli Stati Uniti. Ma queste lotte di liberazione nazionale, volte a insediare al potere borghesie autoctone, non minacciavano in alcun modo la dominazione imperialista. Alla fine, grazie alla complicità della burocrazia russa, la dominazione imperialista continuò incontrastata per diversi decenni dopo la Seconda guerra mondiale.
Dalla caduta dell'URSS al regno di Putin, la continuità di una stessa politica
Alla fine degli anni '80 il "blocco sovietico" si è incrinato e uno dopo l'altro i Paesi dell'Europa orientale hanno raggiunto l'ovile capitalista, senza che l'URSS di Gorbaciov cercasse di opporvisi. Nel 1991 fu l'URSS stessa a implodere, in preda a contraddizioni interne divenute insormontabili. La sempre più cattiva gestione e il saccheggio della burocrazia, le incessanti lotte tra clan, in un contesto di stagnazione economica, finirono per destabilizzare il potere in tutto il Paese, fino ai vertici dello Stato. Gli stessi alti burocrati firmarono la fine dell'Unione e il suo smembramento in quindici Stati, di cui la Russia sarebbe rimasta il più grande.
Questa dissoluzione ha portato a un notevole contraccolpo: la moltiplicazione dei confini tra popoli che avevano vissuto per settant'anni come parte dello stesso Stato, accompagnata da guerre territoriali. La guerra in Ucraina dal 2014 ne è una lontana conseguenza. Le economie delle ex repubbliche sovietiche sono crollate fino a un punto che di solito si vede solo in periodi di guerra, anche nella Russia di Eltsin negli anni Novanta. Fu anche durante questo decennio di caos e collasso sociale che alcuni oligarchi, provenienti dalla burocrazia o ad essa collegati, costruirono una loro fortuna appropriandosi di intere fette dell'economia sovietica.
In Russia, come altrove nell'ex URSS, a parte alcuni oligarchi e i loro clan, la maggior parte della burocrazia temeva di perdere la propria posizione sociale e i propri privilegi, oltre che il proprio potere. Fu proprio col fare leva sul malcontento di questa burocrazia, che rifiutava di lasciarsi derubare dagli oligarchi locali e dai finanzieri di tutto il mondo, che Putin potè salire al potere nel 2000. Aveva il sostegno dei rappresentanti del KGB, dell'esercito e delle amministrazioni e degli enti economici sorti dall'URSS.
Putin ristabilì quella che chiamò la "verticale del potere", imponendo l'autorità del governo centrale ai burocrati locali che si comportavano come signori nei loro feudi, e costringendo gli oligarchi a sottomettersi al potere politico e a condividere le loro fonti di ricchezza con le alte sfere della burocrazia.
Una volta raggiunto questo compromesso tra il potere politico della burocrazia e la nuova borghesia degli oligarchi, il regime dimostrò ripetutamente il suo desiderio di essere integrato nel sistema imperialista, chiedendo di entrare a far parte del FMI, dell'Unione Europea e persino... della NATO, l'alleanza militare creata intorno agli Stati Uniti per combattere l'URSS. Mosca offrì persino basi in Asia centrale per gli aerei americani che avrebbero bombardato l'Afghanistan. Fu invano, poiché l'imperialismo non fu riconoscente e spinse le sue posizioni nell'Europa orientale, fino all'Ucraina. Questa crescente pressione costrinse la Russia a reagire militarmente, già in Ucraina nel 2014. Se Putin prese l'iniziativa di invadere l'Ucraina nel febbraio 2022, fu la politica dell'imperialismo, guidata dagli Stati Uniti, a rendere questa guerra in qualche modo inevitabile.
Mentre difende i propri interessi, sfruttando ciò che rimane dei formidabili mezzi ereditati dall'economia statale sovietica, la burocrazia russa aspira ancora a essere riconosciuta come una potenza a sé stante, collaborando al mantenimento dell'ordine borghese. Dimostra, ogni volta che può, di sapersi rendere utile al mantenimento del sistema capitalistico. Appena un mese prima dell'invasione dell'Ucraina, nel gennaio 2022, Putin ha inviato truppe in aiuto del dittatore del Kazakistan, minacciato da una rivolta operaia. Allo stesso tempo, ha esaudito i desideri dei numerosi consorzi occidentali presenti nel Paese.
Nella forma, Trump mostra il suo cinismo tendendo la mano a Putin e accusando Zelensky di essere responsabile della continuazione della guerra in Ucraina. Ma nella sostanza sta solo proseguendo relazioni di complicità che, attraverso numerosi episodi, ha visto i governi imperialisti collaborare con Stalin e i suoi successori per mantenere l'ordine borghese.
Questa politica durerà? Avvierà un processo di reintegrazione del regime russo nel sistema capitalista e nel suo ordine mondiale? Solo il tempo potrà dirlo, ma dietro le tristi pantomime di Trump e i fiumi di sangue versati in Ucraina, potrebbe aprirsi una prospettiva sia per la borghesia che per la burocrazia. Il sistema capitalista avrà avuto bisogno di più di un secolo per reintegrare una burocrazia che in fondo non desiderava altro, e questo fatto sottolinea quanto questo sistema ha perso il suo dinamismo originario.
15 maggio 2025