Solo la risposta collettiva dei lavoratori fermerà l'offensiva dei possidenti e del loro Stato

Εκτύπωση
Francia - Il mondo del lavoro rialza la testa (da "Lutte de Classe" n°74)
estate 2003

Oltre al personale dell'educazione nazionale che è stata la categoria più mobilitata e più a lungo nei tre mesi trascorsi, oltre ai ferrovieri e ai lavoratori dei trasporti urbani, in particolare della RATP nella regione parigina, ben altre categorie di lavoratori hanno partecipato al movimento, a diversi livelli : dai postini al personale della sanità, dagli impiegati del servizio degli assegni postali a quelli di France Telecom, dai lavoratori degli enti locali agli agenti delle imposte e delle strade, dai pompieri ai doganieri e agli spazzini... D'altro canto, la mobilitazione di un certo numero di altre categorie come quella dei precari dello spettacolo, degli impiegati di MacDonald's o degli archeologi, che in qualche caso sono in lotta da molto tempo per le loro rivendicazioni specifiche, si è integrata alla mobilitazione generale.

Questa mobilitazione ha preso forme estremamente diverse : sciopero rinnovabile o intermittente, manifestazioni, sostegno di un settore mobilitato ad un altro che non lo era ancora, alcune azioni che si volevano " spettacolari " come il saccheggio dei locali del Medef (equivalente della Confindustria) o la perturbazione del comizio politico di un notabile della maggioranza di governo o, semplicemente, volantinaggi massicci da parte degli scioperanti per popolarizzare il movimento ed i suoi obiettivi.

Alcune manifestazioni in occasione delle giornate di mobilitazione indette dai sindacati hanno attirato lavoratori di imprese private. Ci sono state sospensioni del lavoro in alcune aziende e, in certi posti, alcune medie imprese hanno scioperato.

Tuttavia, il settore privato non sì è realmente mosso. D'altronde, anche i servizi pubblici, erano lontani da uno sciopero generale. Ciononostante il movimento si è sviluppato su scala dell'intero paese. Non ha interessato solo le grandi città, e d'altronde si è sviluppato a ritmi diversi secondo le regioni o le città. In alcune città di media e piccola taglia, a volte piccolissime, certe manifestazioni hanno attirato una frazione senza precedenti della popolazione, addirittura più che nel maggio 68.

In realtà, il movimento contro il progetto Raffarin-Fillon ha cristallizzato ben altri malcontenti e ben altre frustrazioni del mondo del lavoro, anche quando ciò si è espresso poco o per niente sui cartelli branditi nei cortei.

Ma questa moltitudine di movimenti, di numerose categorie, le cui azioni si inter-influenzavano e a volte inter-penetravano, ha disegnato un movimento unico che ha toccato, a livelli e a ritmi certo molto diversi, l'insieme del paese.

E il rigetto del piano Raffarin-Fillon sulle pensioni, il ritorno a 37 anni e mezzo di contributi per il settore privato e la difesa dei 37 anni e mezzo per il settore pubblico hanno rappresentato un obiettivo comune a tutti quelli che erano in movimento.

Il movimento per come si è dato, con i suoi settori di punta, i suoi momenti forti e soprattutto il suo obiettivo unificatore, ha beneficiato al suo culmine della simpatia della grande maggioranza del mondo del lavoro.

Bisogna dire che il governo stesso ha contribuito, certo involontariamente, per stupidità o per arroganza, a provocare questa presa di coscienza della comunanza di interessi tra lavoratori del servizio pubblico e lavoratori delle imprese private. Eppure la sua propaganda non ha mai smesso di servire argomenti menzogneri che cercavano di contrapporre gli uni agli altri. Ma è bastata una sola dichiarazione di Fillon, che annunciava nello stesso tempo l'allineamento del settore pubblico sul privato a 40 anni di contribuzione e il prossimo allungamento della durata di contribuzione a 42 anni per tutti, affinché i lavoratori delle imprese private si rendano conto che l'attacco mirava i lavoratori del settore privato come quelli del pubblico e che tutti avevano interesse a difendersi insieme.

In tutta evidenza, il governo pensava di cavarsela con una o due giornate di azione sindacale dichiarate per salvare la faccia. Non si aspettava una tale tenacia da parte del personale dell'educazione nazionale. Non si aspettava che le giornate nazionali di lotta successive, indette dai sindacati, siano seguite massicciamente. Non si aspettava che tra due giornate di lotta, gli scioperi e le manifestazioni si prolunghino.

Pur senza sboccare su uno sciopero generale, vale a dire una reazione collettiva dell'insieme del mondo del lavoro, il movimento si è rivelato a volte abbastanza duraturo da preoccupare il governo. Tanto più che se, nel suo insieme, il movimento si è strutturato intorno alle giornate nazionali dichiarate dalle confederazioni sindacali, con le quali il governo poteva negoziare e trovare un terreno d'intesa ( nella misura in cui d'altronde il governo avesse avuto l'intenzione di negoziare con i sindacati altrimenti che come l'ha fatto con la CFDT, cioè chiedendo la capitolazione ), questi scioperi hanno iniziato a darsi altri modi di propagazione, dalla base, da parte degli scioperanti stessi.

Furono gli scioperanti dell'educazione nazionale a cominciare a rendersi nei depositi di autobus e dei metro della RATP o della SNCF, nei centri di smistamento o negli uffici postali vicini. E, non solo non si sono scontrati con l'ostilità dei lavoratori di questi settori, ma nei giorni in cui si sono impegnati nel movimento, questi ultimi hanno ripreso a loro conto tale tipo di azioni.

Senza dubbio, questi gruppi di insegnanti che rendevano visita ai depositi RATP per trascinare i conduttori di autobus nello sciopero, questi postini che sono andati verso un'impresa privata per spiegare perché il movimento interessava tutti i lavoratori, questa forma di azione per generalizzare lo sciopero non ha rappresentato che una forma embrionale nel movimento. Ma gli embrioni sono fatti per svilupparsi, e ciò avviene anche quando quelli che operano per impedirlo sono numerosi. E il governo ha avuto ragione di preoccuparsi che il movimento si generalizzasse in questo modo, alla base, tramite contatti diretti tra lavoratori di vari settori.

Perché sviluppandosi a partire dalla base il movimento presentava un duplice motivo di preoccupazione per il governo. Da un lato, rischiava di diventare incontrollabile per i sindacati e, di conseguenza, più difficile da arginare con un compromesso tra le direzioni sindacali ed il governo. D'altra parte, i contatti tra lavoratori di diverse categorie su obiettivi non corporativi minacciavano di sviluppare la coscienza che tutti i lavoratori hanno gli stessi interessi e la convinzione che uniti nella lotta, il mondo del lavoro rappresenta una forza capace di far indietreggiare qualsiasi governo.

Il movimento così come si è dato poteva sboccare su uno sciopero generale?

Alcuni, in particolare tra quelli che si sono maggiormente impegnati nel movimento, l'hanno pensato e espresso facendo derivare, dalla necessità della generalizzazione nello sciopero per vincere, la conclusione che uno sciopero generale fosse possibile, o addirittura iscritto nell'evoluzione delle mobilitazioni.

Altri ne hanno tratto un sentimento di amarezza verso la CGT accusando esplicitamente il suo segretario generale Thibault di portare una responsabilità determinante per non aver indetto apertamente lo sciopero generale. Ma la direzione della CGT non merita tanto onore né tanto sdegno.

La CGT è, come le altre confederazioni, un sindacato riformista. Non si pone più delle altre la prospettiva di un confronto radicale della classe operaia con la borghesia ed il suo stato. Al contrario, la rifiuta, integrata com' è allo Stato della borghesia e alle sue istituzioni. La sua direzione può essere più o meno radicale nel linguaggio e nei propositi a seconda delle circostanze, ma non ricerca la mobilitazione generale del mondo del lavoro sul terreno dei suoi interessi fondamentali. E, quando ciò si produce, frena coi quattro ferri.

La CGT ha fondamentalmente gli stessi limiti dei sindacati le cui direzioni assumono apertamente la collaborazione con lo Stato della borghesia come la CFDT o anche FO. La principale differenza risiede nel fatto che la CGT conta nei suoi ranghi molti più militanti, che sono ben più sensibili alle aspirazioni dei lavoratori che li circondano; di conseguenza la politica ed anche la tattica scelte dalla sua direzione durante una lotta hanno molto più impatto sullo sviluppo di questa lotta di quanto dicono o fanno la CFDT, FO, senza neanche parlare di SUD.

La CGT non ha messo coscientemente in opera tutto ciò che poteva per favorire la generalizzazione nello sciopero, ciò è il meno che si possa dire. In alcuni settori, come la RATP o le ferrovie, a certi momenti, in particolare i giorni successivi al 13 maggio, si è chiaramente opposta a coloro che proponevano di prolungare la giornata nazionale con scioperi rinnovabili. D'altra parte, mentre nel 1995, la CGT aveva fatto suo l'obiettivo del ritiro puro e semplice del piano Juppé contro la previdenza sociale, questa volta si è fissata come obiettivo semplicemente di ottenere "nuovi negoziati "per " un'altra riforma ".

Certamente, tutto ciò ha contato ed ha pesato sulle coscienze, a cominciare da quelle dei militanti della CGT stessi. Le ambiguità nell'obiettivo fissato e le tergiversazioni nell'azione sono stati altrettanti freni per l'allargamento dello sciopero, in ogni caso nel settore pubblico.

Ma nessuno può seriamente affermare che quand'anche la CGT avesse dichiarato lo sciopero generale, il grosso della classe operaia, i lavoratori delle imprese private, dell'automobile, della metallurgia, della chimica avrebbero seguito.

La responsabilità della CGT in quanto principale confederazione sindacale risiede, in larga parte, ben a monte di queste settimane di lotta.

Uno sciopero generale non si scatena premendo su un bottone. Questa idea, giusta sul fondo, è servita spesso da giustificazione alle direzioni sindacali che, in ogni caso, non volevano una mobilitazione generale del mondo del lavoro e avevano ben più l'abitudine di schiacciare sul freno che di premere su questo "bottone".

La responsabilità della CGT risiede nella sua strategia che, da diversi anni, si allinea sempre più su quella della CFDT per sostenere una " strategia della trattativa " invece di fissare come obiettivo chiaramente enunciato la risposta generale del mondo del lavoro e invece di proporre azioni che vadano chiaramente nel senso di quest'obiettivo, in cui ogni azione è destinata a preparare la successiva. Perseguire la trattativa senza una mobilitazione generale dei lavoratori significa inevitabilmente prepararsi a dare una legittimazione alle misure che il padronato ed il governo vogliono imporre.

Questa strategia della CGT, che risale a ben prima del movimento, si è prolungata durante questo periodo. Se la CGT avesse messo in moto tutte le sue forze militanti per tentare di generalizzare il movimento, è verosimile che questo sarebbe stato più ampio e, forse, più duraturo, almeno nel servizio pubblico. Non si sarebbe necessariamente esteso per questo alle imprese private. Ma tutti i lavoratori avrebbero avuto allora una prospettiva in grado di ispirargli fiducia nelle lotte.

Se parliamo della CGT, è in ragione del peso e del ruolo particolare che questa centrale sindacale conserva tra i lavoratori.

La direzione della CFDT, da parte sua, ha abbandonato il movimento fin dal primo segno del governo. Dopo la vergognosa firma di un accordo con Fillon nella notte tra il 14 ed il 15 maggio, il suo segretario generale, Chérèque, si è fatto portavoce ufficioso del governo.

Quanto agli altri sindacati, tanto FO che SUD, hanno potuto tanto più facilmente tenere un linguaggio radicale, finanche ripetendo appelli allo sciopero generale, che non avevano il peso ed il credito necessari per essere presi sul serio.

Per ritornare alla CGT, la sua tattica durante il movimento è stata di accompagnarlo per non tagliarsi dagli elementi più attivi che erano spesso i suoi propri militanti e tesserati. Questa politica, che consisteva in fondo a cavalcare il movimento senza ricercarne sistematicamente la generalizzazione e l'approfondimento, si è concretizzata in attitudini disparate e a volte contraddittorie dei suoi responsabili locali. Gli appelli radicali per la generalizzazione del movimento andavano di pari con comportamenti che erano delle vere e proprie docce fredde per i più indecisi.

Le confederazioni sindacali, e più particolarmente la CGT hanno comunque contribuito, loro malgrado, per molti aspetti, a sviluppare il movimento. Per fare un solo esempio, la giornata di manifestazioni del 25 maggio, una domenica, è stata, all'origine, evidentemente una tattica della direzione confederale, da un lato, per limitare la portata del 13 maggio e, soprattutto, affinché questa giornata non si prolunghi con scioperi, come quasi quarant'anni fa, un certo 13 maggio 1968 si era prolungato i giorni successivi fino a sboccare nello sciopero generale.

Tuttavia, una volta passato il 13, il 25 maggio è diventata la scadenza alla quale potevano riferirsi tutti quelli che volevano la continuazione del movimento. E qualunque siano stati gli obiettivi nascosti dei dirigenti confederali indicendo le giornate nazionali di scioperi e di manifestazioni, queste hanno costituito altrettanti obiettivi intermedi che hanno permesso al movimento di svilupparsi.

Così, il fatto stesso che le giornate nazionali siano seguite massicciamente obbligava le confederazioni sindacali (a parte la CFDT) a prevederne altre che rilanciavano il movimento a loro volta, mostrando a quelli che erano in lotta che non erano isolati.

Accusare la CGT di non aver indetto lo sciopero generale è comprensibile quando si tratta di un militante dello sciopero, soprattutto della CGT, deluso perché il movimento non è andato fin dove sperava. Venendo da certi apparati sindacali concorrenti della CGT, come SUD, o da certe organizzazioni "gauchiste", la critica è spesso interessata e soprattutto inetta e disfattista. Se lo sciopero generale dipendesse dai capi sindacali riformisti, non ci sarebbe alcuna speranza per il futuro!

Dal giugno 36 al maggio 68, passando per l'estate 53 degli statali, nessuno degli scioperi generali del passato è stato il risultato di una strategia combattiva delle direzioni sindacali. Ogni volta, queste furono obbligate dalla base ad andare più lontano di quanto avrebbero voluto.

I lavoratori non possono contare sulla direzione sindacali per perseguire la politica necessaria alla generalizzazione degli scioperi, ma possono costringerli a seguire il movimento dei lavoratori. E possono lasciare sul ciglio della strada gli apparati sindacali che si oppongono al movimento o che se ne allontanano.

Ecco perché la sola politica efficace in questo sciopero non consisteva nel proporre mozioni per interpellare le direzione sindacali affinché queste dichiarino lo sciopero generale ma nell'operare praticamente, alla base, affinché gli scioperanti generalizzino essi stessi il loro sciopero.

I settori più combattivi dell'educazione nazionale hanno potuto fare l'esperienza della ricchezza che ha rappresentato la partecipazione massiccia degli scioperanti sia alle assemblee generali, dove si discuteva, si scambiavano le idee e si decideva, che all'applicazione delle decisioni prese. La collettività degli scioperanti racchiude tesori di immaginazione, di creatività, di iniziative, che nessun apparato sindacale può uguagliare, anche se fosse sinceramente determinato ad affermare le esigenze degli scioperanti -ciò che non era certo il caso. Sono precisamente queste assemblee generali dove gli scioperanti si incontravano, prendevano coscienza della loro forza e della loro determinazione collettiva, che hanno tanto contribuito a dare al movimento la sua dinamica.

E' ancora tramite queste assemblee e attraverso le azioni collettive che gli scioperanti si sono resi conto che gli era possibile trascinare altri lavoratori nel movimento e che per farlo non avevano bisogno di nessuno. Ed è attraverso questa attività della base che lo sciopero aveva le maggiori possibilità di generalizzarsi e di trasformarsi in sciopero generale, senza che gli apparati sindacali potessero fermarlo.

Ancora una volta, questo processo di generalizzazione non è stato che un innesco in questo movimento. Ma quelli che vi hanno contribuito e che ne hanno capito la necessità ed i meccanismi ne escono con un'esperienza insostituibile.

In conclusione, nessuno può sapere se i tre mesi di manifestazioni e di scioperi si prolungheranno e si svilupperanno dopo l'interruzione delle ferie estive ( da ricordare che le ferie estive non costituiscono in sé un ostacolo alla lotta poiché lo sciopero degli statali del 1953 si era scatenato precisamente durante questi mesi).

Quello che è sicuro, è che riprendere il movimento, amplificarlo, generalizzarlo, fare in modo che le imprese private partecipino alla mobilitazione costituisce la sola via. E, in relazione a questa eventualità, l'esperienza dei tre mesi di mobilitazioni costituisce una conquista. Il movimento ha fatto emergere, al di là dei militanti sindacali e politici, migliaia di "militanti dello sciopero", dei "militanti del movimento", che si sono familiarizzati con molti dei problemi posti da un movimento sociale e che possono essere, per le mobilitazioni future, portatori di un certo numero di pratiche come le assemblee generali democratiche, come i contatti tra lavoratori di differenti settori.

Inoltre ciò che è sicuro è che, se una tale mobilitazione si profila, bisognerà sostenere non solo rivendicazioni come il ritiro di tutti i piani antioperai del governo, tanto quelli già consacrati da una legge per ciò che concerne le pensioni, che quelli ancora in cantiere che riguardano la previdenza sociale, ma anche obiettivi che proteggano i lavoratori contro i licenziamenti collettivi e il flagello della disoccupazione.

28 giugno 2003