Il piano navale degli Stati Uniti: dietro i gesti di Trump, i preparativi per la guerra

27 marzo 2025

Da "Lutte de Classe" n°247 - Aprile 2025

I discorsi, le promesse e le minacce di Donald Trump relativi all'industria navale, agli armatori e ai cantieri navali non differiscono dal resto delle sue dichiarazioni. Il presidente americano promette, in ordine sparso, di riprendersi il Canale di Panama, di integrare il Canada negli Stati Uniti. Prevede di impadronirsi della Groenlandia per controllare la rotta settentrionale intorno al polo, di far costruire grandi e splendide navi dai cantieri americani, di assumere equipaggi americani. Progetta di tassare tutte le navi da carico costruite in Cina, provenienti da questo Paese , che trasportano merci cinesi o che hanno un qualsiasi legame con società cinesi in ogni porto di scalo degli Stati Uniti. Trump ha proposto la sconcertante cifra di un milione di dollari di tasse per ogni scalo.

Le risposte delle parti interessate sono state varie come le proposte. Ovviamente gli armatori dei cantieri navali americani hanno dichiarato di essere pronti a costruire tutte le navi desiderate dal Presidente, a patto di essere inondati di sovvenzioni, e hanno parlato di "momento storico" (citato da Le Marin del 10 marzo). L'armatore francese Saadé, proprietario e direttore di CMA CGM, il terzo gruppo mondiale di trasporto container, è stato ricevuto alla Casa Bianca. In quella sede, davanti alle telecamere e sotto l'occhio vigile di Trump, ha annunciato 20 miliardi di dollari di investimenti nei porti americani e ha promesso di studiare, ma solo di studiare, la possibilità di far costruire navi negli Stati Uniti. Inoltre il principale armatore di navi portacontainer, MSC, alleato con il fondo americano BlackRock, vuole acquistare per 20 miliardi di dollari le 43 strutture portuali del gruppo di Hong Kong Hutchison, comprese quelle sul Canale di Panama.

Tuttavia, il 24 marzo tutti gli armatori mondiali, compresi MSC e CMA CGM, hanno protestato ufficialmente contro le tasse proposte per l'ingresso nei porti americani. Sono stati preceduti da alcuni gruppi americani di trasporto, industriali e di distribuzione. Fin dal primo giorno, il governo cinese si è espresso contro le possibili tasse di ingresso negli Stati Uniti, perché sono misure che colpiscono direttamente la sua economia e le sue imprese.

Dal primo al 21° posto

Le spavalde dichiarazioni di Trump fanno seguito, anche se in modo molto personale, a una campagna dei politici statunitensi sul riarmo marittimo. Nel dicembre 2024, prima dell'insediamento di Trump è stata approvata una legge congiunta di senatori democratici e repubblicani per aiutare i cantieri navali. L'obiettivo è quello di rilanciare la cantieristica americana e portarla al livello di quella cinese. Il disegno di legge che prevede uno sconto fiscale del 25% per qualsiasi investimento di questo tipo, impone al governo di utilizzare armamenti navali americani e fornisce incentivi finanziari ai produttori e alle aziende agroalimentari americane affinché facciano lo stesso. Pochi mesi dopo, Trump ha tradotto tutto ciò in "farò risorgere la cantieristica americana" (dichiarazione al Congresso del 4 marzo).

Infatti la cantieristica commerciale degli Stati Uniti è diminuita, passando dal primo posto mondiale nel 1950 al 21° di oggi. Mentre i cantieri cinesi producono la metà del tonnellaggio mondiale, gli Stati Uniti ne producono appena lo 0,5%. Nel 2024, i cantieri cinesi si sono aggiudicati addirittura il 71% degli ordini di nuove navi! Il valore totale della flotta mercantile americana la colloca ancora al quarto posto nel mondo perché comprende, per oltre la metà del totale, il prezzo della flotta di enormi navi da crociera, vere e proprie città galleggianti di lusso. Ciò equivale a includere Disneyland nell'apparato industriale...

Bisogna tornare indietro nel tempo per capire perché, nel 2025, la prima potenza economica, finanziaria e militare del mondo non è più, di gran lunga, alla testa della prima flotta mercantile, e il delicato problema che ciò pone. Alla fine della Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti erano diventati la potenza imperiale dominante, nel settore della marina mercantile come in tutti gli altri. Avevano persino troppe navi da carico, perché la guerra era finita ma non erano stati tutti consegnati gli ordini fatti ai cantieri navali per il ponte marittimo verso il fronte. Le consegne delle navi da carico ordinate dall'esercito durarono fino al 1923. A quel punto, i cantieri avevano acquisito la capacità di sfornare navi come se fossero pezzi di pane, ma il mercato era saturo. Allora il governo approvò il Jones Act, una legge marittima modellata su quelle di monopolio delle vecchie potenze coloniali. Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi offrivano alle loro compagnie di navigazione diritti esclusivi sul traffico marittimo tra la metropoli e le colonie, garantendo loro un comodo margine ed eliminando qualsiasi concorrenza.

Il Jones Act: protezionismo marittimo

Il Jones Act del 1920 stabiliva che il traffico marittimo di cabotaggio tra i vari porti degli Stati Uniti e i loro possedimenti d'oltremare fosse riservato alle compagnie americane, con navi costruite da cantieri americani e con equipaggi per almeno tre quarti americani. La vastità del Paese, le sue enormi risorse di materie prime, il suo tessuto industriale, la sua produzione agricola meccanizzata e massiccia, l'apertura nel 1914 del Canale di Panama, di proprietà degli Stati Uniti, tutto concorreva a rendere questo monopolio marittimo un affare magnifico. Lo fu e lo è tuttora, perché il Jones Act è ancora in vigore. Il settore marittimo americano rappresenta 500.000 posti di lavoro e 100 miliardi di dollari di fatturato (dati del Ministero della Marina francese). Vale la pena sottolineare che Wesley Jones, il promotore di questa legge, era un senatore dello Stato di Washington, e precisamente della città di Seattle. La sua legge dava agli armatori di questo porto il diritto esclusivo di commerciare con l'Alaska.

Inoltre Iil Jones Act prevedeva che la marina mercantile battente bandiera americana potesse e dovesse essere integrata molto rapidamente nella marina militare se necessario, navi ed equipaggi compresi, rimanendo, in ogni caso, a disposizione dello Stato. Quindi i marinai e gli ufficiali della marina mercantile sono il naturale vivaio della marina militare. Ancora una volta, questa disposizione è modellata su quelle delle vecchie potenze, in particolare sulle leggi marittime di Colbert in Francia.

Ancora una volta, i cantieri navali americani dimostrarono le loro capacità durante la Seconda guerra mondiale, costruendo navi - le famose Liberty ships - sulle catene di montaggio più velocemente di quanto i sottomarini tedeschi e gli aerei giapponesi le potessero affondare. Alla fine della guerra, il dominio dell'imperialismo americano era schiacciante. Fino agli anni '70, le navi, le compagnie e gli equipaggi americani dominarono i mari del mondo. Ma dal 1981 in poi furono approvate le leggi di deregolamentazione di Reagan, nel settore marittimo come nel resto dell'economia., Si presentò la possibilità sempre più ampia di utilizzare le bandiere di convenienza, insieme all'esplosione del traffico marittimo dovuta all'immissione del proletariato cinese nel mercato mondiale da parte di Pechino e alla graduale affermazione dei cantieri navali in Giappone, Corea del Sud e, infine, in Cina.

Mentre i cantieri americani, protetti dal Jones Act, continuavano a produrre poche, costose e lente navi per il mercato interno, in Asia gli armatori oceanici facevano costruire navi sempre più grandi per un traffico in costante aumento. Nonostante abbiano inventato e imposto il container, gli armatori americani hanno trovato il settore troppo poco redditizio e hanno permesso la nascita di colossi, i primi tre dei quali sono europei e hanno rilevato i loro concorrenti americani. È vero che per molti anni il settore è stato meno redditizio di altri e che CMA CGM, ad esempio, è sopravvissuta solo grazie agli ottimi rapporti con lo Stato francese. Ma avendo acquisito il monopolio del trasporto di container in un'economia globale integrata, MSC, Maersk e CMA CGM sono state in grado di tenere in pugno persino i capitalisti americani quando è arrivata la crisi del Covid. Il mondo si è stupito nel sentire il Presidente Biden pronunciarsi contro i monopoli e le posizioni dominanti che permettono di derubare il pubblico.

Ovviamente, la preponderanza dei cantieri navali asiatici e delle compagnie europee di trasporto container non significa, che il capitale americano non sia presente nel movimento via mare attraverso il quale passa il 90% del commercio mondiale. Innanzitutto, tutte le aziende americane di livello mondiale - le compagnie petrolifere Exxon e Chevron, le aziende agroalimentari Bunge, Cargill e Chiquita, le compagnie minerarie e altre - dispongono di flotte proprie per il trasporto dei loro prodotti. Ma solitamente le loro navi sono noleggiate, cioè affittate, sotto bandiere di comodo, con equipaggi internazionali e per questo non soggette al Jones Act. Allo stesso modo, i capitali americani sono presenti in molte società non americane, a cominciare da quelle dei famosi armatori greci, le cui azioni sono quotate a Wall Street e che vivono negli Stati Uniti, il più vicino possibile agli uffici della loro società di diritto greco, liberiano o panamense. Un altro esempio: nella galassia di beni del trust di J.P. Morgan, una delle più antiche e potenti dinastie capitalistiche americane, ci sono 140 navi mercantili, tra cui, nel 2024, due nuovissime metaniere registrate nel RIF (Registro Internazionale Francese), la bandiera francese preferita da CMA CGM. Queste flotte e questi equipaggi sono completamente al di fuori del controllo del governo statunitense, poiché non sono soggetti al Jones Act.

Capacità industriale insufficiente?

In tempi normali, al di fuori dell'inconveniente di essere superati nel traffico di container - ma l'alleanza MSC-BlackRock potrebbe essere in procinto di risolvere il problema - la situazione non ha niente di preoccupante per il capitale americano e il governo degli Stati Uniti, né di minaccioso per la loro influenza sul pianeta. Ma nella prospettiva di un confronto militare con la Cina, la questione è completamente diversa.

Certo, la flotta da guerra americana è di gran lunga la più potente al mondo, in termini di numero, potenza di fuoco, tecnologia e anche perché è l'unica flotta che ha fatto la guerra ininterrottamente per decenni. I popoli dell'Iraq, dell'Afghanistan, della Libia e di molti altri paesi lo hanno sperimentato a proprie spese. Per citare solo le grandi portaerei, gli Stati Uniti ne hanno undici, quasi sempre in mare e dotate degli armamenti più moderni; la Cina ne ha tre, di cui una acquistata di seconda mano dalla Russia, e una ancora in prova. Tuttavia, secondo i senatori che hanno approvato la legge del dicembre 2024 e molti analisti americani, questo vantaggio si sta rapidamente riducendo di fronte all'avanzata della Marina cinese. Non ci sarebbero né cantieri navali capaci di formare un numero sufficiente di lavoratori qualificati, né abbastanza navi per ingaggiare un numero adeguato di marinai americani per la flotta da guerra, anche in tempo di pace. Gli incidenti che si sono verificati negli ultimi anni sulle navi della Marina americana sarebbero dovuti alla stanchezza cronica di equipaggi perennemente sotto organico. Le riparazioni si trascinano per mancanza di personale. È provato che alcune navi della Marina americana vengono riparate e mantenute in cantieri coreani e giapponesi. La posizione di rentier creata dal Jones Act sembra aver fatto regredire l'industria navale nel suo complesso, e gli analisti si lamentano perché la costruzione di una portaerei, che nel 1942 richiedeva un anno, ora ne richiede dieci.

In caso di conflitto aperto con la Cina, la marina statunitense, certamente superiore all'inizio del conflitto, non sarebbe in grado di sostituire le navi distrutte e gli equipaggi sacrificati, mentre la potenza industriale cinese produrrebbe sempre più navi e i suoi equipaggi diventerebbero più qualificati. L'autorevole bimestrale del Dipartimento di Stato Foreign Affairs sviluppa questa analisi in un articolo del marzo 2025 intitolato "Is America facing a naval divide with China?" (L'America si trova di fronte a una frattura navale con la Cina?), risalendo alla Seconda guerra mondiale. Nel 1941, una flotta giapponese esperta e moderna bombardò quella americana a Pearl Harbor. Ma, alla fine, perché sostenuta da una potenza industriale superiore, la flotta americana prevalse. Mentre l'industria giapponese faticava a sostituire le navi affondate, i cantieri americani vararono 2.710 Liberty ships e 28 portaerei in tre anni. Foreign Affairs concludeva che lo stato attuale dei cantieri navali e della marina mercantile americana potrebbe lasciare il Paese debole di fronte alla potenza industriale della Cina, nonostante la superiorità immediata della Marina statunitense.

Di fronte alla Cina

La legge del dicembre 2024, i discorsi di Trump e le campagne mediatiche e politiche sul riarmo marittimo assumono allora tutto il loro significato, con un Presidente che esprime in modo oltraggioso e provocatorio ciò che altri politici esternano in modo razionale (sempre che si pensi che prepararsi alla guerra sia un'attività razionale). Come il resto dei discorsi di Trump sulle tariffe contro il Canada, il Messico, l'Europa e il resto del mondo, le farneticazioni sulle tasse di scalo da milioni di dollari non sembrano altro che episodi di un negoziato in corso. Ciò che emerge è un'unica politica, anche se formulata in modio diversio: ora gli Stati Uniti devono prepararsi a risolvere la loro rivalità commerciale con la Cina con la forza delle armi, diventando capace di schierare rapidamente il maggior numero possibile di portaerei, cacciatorpediniere, sottomarini, marinai per farli funzionare e lavoratori per costruirli, rifornirli, armarli e ripararli. Per raggiungere questo obiettivo, devono fornire i fondi necessari, nell'ordine delle centinaia di miliardi di dollari, per ricreare le risorse industriali e umane in grado di affrontare la sfida. Poiché i capitalisti americani in mezzo secolo hanno permesso la scomparsa di queste infrastrutture per la loro ricerca di una redditività immediata, sarà solo lo Stato a sostenere il costo della ricostruzione. Oggi l'unica cosa di cui si parla è far pagare la popolazione americana, tramite le tasse, il suo lavoro, i suoi risparmi e quelli sui servizi pubblici, con gli aumenti dei prezzi indotti dalle tasse sulle importazioni e il ritorno di alcune attività produttive. Non si tratta di prendere sui profitti oppure di costringere i capitalisti a qualche sforzo.

Naturalmente, il primo effetto di questa campagna, che ha mobilitato gran parte della classe politica e mediatica americana, è la promessa di un'ondata di sussidi ai cantieri navali e all'intero settore. C'è anche la volontà di spingere le grandi compagnie di navigazione a entrare nel gioco americano, come si vede con MSC e CMA CGM, o addirittura di costringerle a cedere una parte dei loro utili eccedenti a vantaggio del capitale americano, anche se questo non risolverebbe in alcun modo la questione di fondo. Ma bisogna anche sottolineare che lo Stato americano, e non solo Trump e qualche altra testa calda, sta valutando, pianificando e preparando un conflitto con la Cina, una prospettiva che considera inevitabile per mantenere la sua posizione dominante. Per l'imperialismo americano questa non è solo una scelta tra le altre: è, o meglio potrebbe rapidamente diventare, una questione vitale. Questa osservazione dà il loro giusto valore insignificante alle proclamazioni pacifiste di ogni genere, al clamore mediatico europeo sull'"orco russo", alle pretese nazionalistiche, alle illusioni riformiste in buona o mala fede. Dimostra che solo la lotta per il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo è realistica.

27 marzo 2025